venerdì 18 settembre 2015

La strada senza nome

Quelle strade avevano un sapore di gomma nuova, di lavori sempre in corso, di notti intrappolate nei labirinti della nebbia anche quando erano sequestrate coi sigilli del giorno.
La prima corsia per coloro che stanno per raggiungere casa, la seconda per coloro che la raggiungeranno con la pazienza delle lunghe distanze e della costanza, la terza corsia per quelli che scappano anche quando non sanno neppure da dove provengono.
Era la strada delle 19.30, quella dello svincolo che precede la telefonata per avvisare di poter preparare la cena. Quella che si consuma in fretta come l'alba di una domenica mattina di fine estate. La strada dei racconti e dei ragguagli sullo stato di salute di  tutti quelli che figurano accidentalmente tra i comprimari di questa morta storia,  la strada delle parole da giorni attese e conservate per essere spese tra quei limiti e quelle gallerie controllate da fari indiscreti.
Alle spalle la metropoli e le sue luci che spingono il cielo ancora più in alto, dinanzi le montagne in filigrana ricamate come toppe di mondo sul drappo madido e buio che non donosce bordi e confini. Abbiamo poco da mangiare domani, ma tanto siamo dieta, vero?
Se sbagliassi l'uscita le montagne cominceranno a sollevarsi sotto i nostri piedi senza che ce ne accorgiamo, ed un tuo urlo mi rimprovererà per la disattenzione, mettendo tutto in discussione.

Un sibilo sembra attraversare anche la strada più silenziosa che taglia un campo non illuminato prima del grande cancello che apparirà alla nostra sinistra.
Un sibilo ininterrotto che sembra irradiarsi da tutte quelle luci, che sembra portarsi dentro, come il cesto di un raccoglitore di cotone, tutte le voci che hanno riempito questi spazi intorno. 
Come un fumo impercettibile nella sua consistenza e negli odori si infonde e si raffredda senza che se ne rilevi traccia in quella normalità  così straniera e  imponderabile.
La mattina getta solo un po' di luce senza azzardarsi a rischiarare nulla fino in fondo. Sembra che le voci ristagnino arenandosi sulle dorsali dei monti a nord. Non è la nebbia dell'atmosfera o delle basse pressioni, o delle conche naturali ad abbassarsi. Sembrano le sospensioni di tutte le anime che popolano quella terra.

Un freddo che ti prende dentro alimentandosi da un chiasso indistinto, dove solo il suono della sua voce sembrava zittire l'urlo strozzato degli affanni a fine corsa, l'indispettito spiare del sole tra i nembi, e le stelle camuffate da aerei immobili come mosche indecise.

Volti sconosciuti che prendevano forma umana a partire da poltrone svuotate di senso, e vilipesi scheletri ricoperti di carne e abiti confezionati dai sarcofaghi dipinti dalla considerazioni altrui. Storie misere abbandonate su marciapiedi lerci ed appiccicosi, ed una calamita di misericordia su cui strisciano esistenze fragili che non riesco a sentire fraterne.

Sguardi rivolti ad altre convenevoli rive dove lasciar correre via una coscienza rachitizzate da camicie di forza cucite con schemi sociali tanto rigidi e acuminati dentro ai quali è così semplice smarrire se stessi.
Agende sgualcite a misura di tutte le cose, e i giudizi di un occhio opprimente in questa landa invisibile che sferza la terra ai confini del cielo.

Abbiamo attraversato insieme quello sciame di luci sibilanti e mi sembravi l'unica creatura vivente di quel cimitero di ghiaccio. Avevi un freddo permanente dentro che tentava di astrarti in quel quadro asfaltato senza nomi.
Corrono i palazzi intorno, i mega-store sulla Valassina, i negozi che ho impressi neimricordi sempre uguali, le insegne e le pubblicità e corrono in sogni dopati su circuiti rotanti su fulcri sbandati sganciati da ogni licenza di guida su queste piste senza punti di arrivo.
Sono al warm up di una vita che vorrei ripetere non appena giungerà alle mie latitudini un sibilo di quei cementi che sembrano piangere, e un sordo rombo sostituirà un tuono a quello sparo che non farà morti o feriti.
Ed una pioggia fresca e pura cancellerà tutto. Quei volti, quel silenzio bugiardo, quel vento stanco, quella nebbia mescolata al celeste opaco, quelle luci scialbe e scriteriate, sfondate come corpi svuotati in canopi bucati, cadaveri sciolti e annegati in un'aria immobile che accarezza con dolcezza e amore quelle strade senza nome.