sabato 2 maggio 2015

Un apatico

Mercier uscì di casa perché non riusciva a dormire. Entrò nel nuovo bistrot nella piazzetta della cattedrale, e dalla popolazione che si palesò ai suoi occhi riuscì a comprendere quale sarebbe stato il destino di quel posto. 
La proprietaria gli venne incontro con rumorosissimi passi, e Mercier fece una smorfia di disappunto con il rintoccare di quei tacchi se sembravano volerlo assalire. Ordinò dello scotch e fissò per un attimo un tavolo poco più in fondo, dove un uomo molto alto e ben vestito stava urlando qualcosa ad una ragazzetta che a stento tratteneva le lacrime. In giro calò uno strano silenzio, e tutti parvero coinvolti nella lite tra i due, ma Mercier concentrò i suoi occhi sul suo bicchiere, e con la punta delle dite della mano destra spostava avanti e dietro un quadrato di cioccolato bianco.

La proprietaria rimbrottò qualcosa di riprovevole sull'uomo più in fondo, e in generale sembrava avercela con tutti i presenti di quella serata, per lo più ubriachi. Mercier distoglieva lo sguardo dal suo bicchiere ogni volta che la donna appuntava nei suoi discorsi un nuovo individuo; Mercier lo guardava un attimo, e poi rientrava sulla sua rigida posa.
La donna si fermò all'improvviso, e prese a fissarlo silente. Mercier s'accorse di quello sguardo dopo qualche minuto. S'accorse del suo sguardo languido, e del viso ammiccante. La donna tornò sul retro, e andando via sfiorò il braccio di Mercier che ancora reggeva il bicchiere vuoto. Lasciò la porta socchiusa, rivolgendogli un ultimo sguardo.
Mercier girò dietro il bancone e la raggiunse. La donna era piegata a sistemare dei barili di olio. Mercier le si avvicinò e la prese dai fianchi. La donna gemette, e tentò di baciarlo, ma Mercier allontanò la sua bocca, spingendola con forza contro un bancone. Le sollevò la gonna e la prese da dietro.
Fece presto.
Prese uno straccio e si ripulì le mani. Si sistemò i pantaloni e fece per allontanarsi.
- Ehi! Tu! - Gli urlò la donna.
Mercier si fermò davanti la porta, ma non si voltò a guardarla, ne sentiva lentamente allontanarsi le urla e le maledizioni. Poi uscì verso la notte.

La Luna illuminava il cielo ad est, a pochi centimetri dalla costellazione della Vergine. Mercier accusò un leggero brivido, poi proseguì il suo cammino alternando i propri passi sulla colorazione a scacchi delle chianche sul viottolo.
Pensò a sua madre, e al dolore che avrebbe provato nel ricevere la notizia. Pensò a quella vita che sfioriva come in preda ad un interminabile inverno. Pensò a quelle combinazioni cosmiche che tornavano a mescolarsi nel caos, alla chiamata di una nuova vita a cui non si sentiva pronto di garantire una rigenerata presenza.
Pensò a come sarebbe stata la sua morte, alla gente che avrebbe condizionato, agli eventi che avrebbe messo in moto. Pensò ai pochi giorni dall'imprecisato numero che lo avrebbero ancora visto sulla scena del mondo a recitare ruoli comprimari. Si ricordò di una donna amata anni addietro. Della debolezza con cui aveva avvilito col tempo quei giorni dal sapore dolce e ricco di speranza. Dell'abbandono lento cui s'era condannato non riuscendo a nutrire un senso alcuno ai suoi giorni, e a quella serenità così scomoda.
Da lì a poco quel ricordo si sarebbe affastellato ai tanti racconti incompiuti che hanno ricopiato nei secoli le bozze del mondo, avrebbe avuto volti di vite mai nate.
Ricordò la profondità di quei giorni che pure gli furono sottratti con violenza. Pensò che, in fondo, in quello stretto recinto in cui s'era confinata la sua possibilità di scegliere non provava alcuna paura.
Quando lei se ne andò Mercier pensava che avrebbe dovuto fermarla, che avrebbe dovuto riprendersela. Che avrebbe dovuto forzare lo scorrere inevitabile delle cose piegando la vita alla sua volontà.
Come l'uomo nel bistrot che urlava contro la ragazza, avrebbe dovuto imporre al suo stesso mondo delle regole rigide e dei contorni precisi.
Pensò che racchiudere quei sogni condivisi in un solitario epitaffio coi tempi al passato l'avrebbe assolto per l'eternità. Quell'eternità che stava per giungere a compimento di lì a breve.
Mercier osservò che in quel momento tutti i suoi dubbi stavano per disperdersi. Anche la Luna, apparentemente costante ed infinita, avrebbe fatto a meno di lui. Così nulla al mondo ne avrebbe mai reclamato la presenza o aborrito le intemperanze. 
Si sedette su un improvvisato giaciglio ai piedi di un pino avvolto nella notte. Respirò l'odore della pece che veniva rafforzato dal suono tenue del vento tra quei rami. Si sentì chiamare un'ultima volta.
Sapeva che il  momento stava per arrivare, ma non lo avrebbe mai afferrato fino in fondo. Si sentiva impotente, come tutte le volte che la vita gli era sfuggita di mano.
Ma in quel sibilo tra i rami ascoltò il canto della sua resa al tempo, e nella sua mente rivolse delle ultime parole a sua madre.
Le disse che non valeva la pena aspettarlo a pranzo. Le disse che aveva perso l'illusione di poter governare il vascello della sua propria esistenza, e che nell'inevitabilità del naufragio ogni condanna risultava inefficace.
Attese che quell'attimo anarchico lo cogliesse. Non aveva idea di quando avrebbe potuto coglierlo. Un'ora o un mese, che differenza avrebbe fatto?
Mercier lo attendeva, e si addormentò.
    

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