martedì 27 settembre 2011

Perdiamoci di vista


L'ultima volta che ho sentito un vecchio collega universitario egli era in viaggio verso Pisa, in treno. Cinque anni fa,  o poco meno.



Ricordo bene la circostanza per cui egli nel 2004 votava la mozione Fassino nel penultimo congresso dei Democratici di Sinistra, mentre io sostenni la mozione Mussi-Berlinguer. Di contro, nelle primarie del 2005 per l'indicazione del candidato presidente della regione Puglia, egli votò Vendola, io votai Boccia.


In entrambe le circostanza mi ritrovai, non so quanto orgogliosamente, in miserrima minoranza.


Era un compagno, politicamente parlando, ed aveva una media voto agli esami di poco inferiore alla mia. Lo chiamai un pomeriggio, un paio di giorni dopo la mia laurea, per chiedergli delucidazioni nella compilazione di una domanda per una borsa di studio per i master.


Io il master non lo feci più e intrapresi la carriera da provetto ricercatore.

Negli ultimi tre mesi ho trascorso una frazione non trascurabile del tempo dedicato all'ozio a cercare di ricordarmi il suo nome, poi facebook avrebbe fatto il resto.


Ed il suo nome mi è balenato in mente, un pomeriggio di inizio autunno, mentre mi pongo come una spugna dinanzi ad un trattato di Supply Chain Management.
Facebook lo scova su mio preciso mandato.



E scopro che si è sposato, che è diventato grande e via dicendo... e che il massimo della politica che si evince dalle scarne informazioni carpite da FB è un timido invito a votare "Sì" al referendum sul nucleare.

Mentre io ho continuato a perdere tempo in lungo e in largo a giocare al "Togliatti-fai-da-te", e a farmi dire "quanto-sei-bravo", senza concludere un cazzo.

lunedì 19 settembre 2011

La casa in collina


R. è nato vicino al mare, ma non sa nuotare. Si dimena nervosamente come un mastino abbandonato nell'oceano di una vasca da bagno, con la paura di affogare.



Ha dei vecchi scarponi da montagna che gli regalò uno zio di sua madre che aveva la passione per i funghi, ed ha vissuto diversi anni in una casa circondata da boschi di quercia che ora son più bassi lui.
Lui i funghi li apprezza, e sa riconoscerli solo se messi a contorno di una bistecca al sangue; se fossero posti ai piedi di un tronco non saprebbe come individuarli e sarebbero del tutto inosservati.
Ama la montagna perché, dicono, vi è aria fresca e poco inquinamento luminoso, e la sera è necessario coprirsi bene perché il freddo passa sulla pelle come un rullo. Ma in montagna non c'è mai andato, perché la montagna è troppo lontana.

La collina è tutta suddivisa in parallelogrammi irregolari, tutta tappezzata di ulivi e vigneti che ogni anno restituiscono lo stesso frutto, la stessa polpa, lo stesso odore. Piove poco e d'estate si soffoca al mattino e si rabbrividice dopo il tramonto.

In collina, R. va in giro con gli scarponi ed il costume da bagno. Non sapendo nuotare e non sapendo raccogliere i fungi.
La collina sta al centro e non sta da nessuna parte.

La collina è un limbo con poche storie da raccontare, e tanta vita che scorre senza consapevolezza. La collina è troppo alta per chi dal mare approda alla terra ferma, ed è troppo bassa per gli amanti  della vertigine e dei grandi panorami.
La collina sta lì a cercare di ritagliarsi un ruolo che non è sancito in nessuna sceneggiatura orologica e idrogeografica. La collina è a metà strada, ed ogni cosa non è abbastanza vicina da poterla distinguere chiaramente, né abbastanza lontana per offrire un riparo ed un rifugio nascosto.

La collina ha pochi connotati. La collina non esiste.

mercoledì 14 settembre 2011

Also spracht Alcor - la vita è uno stato mentale


Domani parto, again.

Tra la stasi esogena e la convalescenza che mi ha immobilizzato tutto ciò che esiste tra il mio basso ventre e le mie ginocchia, il mio pensiero corre e ricorre al racconto Infanzia di un capo, di Sartre. Quello del concetto della "immensa attesa", per intenderci. Omosessuali a parte (con tutto il rispetto), esistono parole che si attaccano alla pelle come elettrodi, e sembrano raccontare i picchi e i precipitati attraverso il diagramma che quotidianamente si tende ad arginare.

Uso l'impersonale, o un'anonima prima persona plurale, ma è di me che parlo, visto che il residuale tessuto di esseri terrestre mi è tuttora sconosciuto.

Dovremmo ripartire da alcune costanti: da Nietzsche, dal tonno con la maionese, dai cappelli ottocenteschi, dal nodo windsor alle cravatte, dal tiramisù, dai sudoku e dall'indifferenza imperatrix mundi.
Ricevo la telefonata di un caro amico che non ha del tutto perso la voglia di rantolare nel torbido. Del resto, perché biasimalo, ha solo 24 anni è assolutamente comprensibile che egli sia ancora in grado di invocare una solidarietà generazionale nell'erezione di un fronte battagliero contro questa manica di cialtroni che si proclama classe dirigente.

Mi veniva in mente che il porto vicino casa mia non riesce a sviluppare il suo potenziale di affari perché è poco profondo. Il pescaggio inferiore lo rende poco competitivo perché impedisce alle navi più grandi di poter attraccare.
Si potrebbe scavare. Si potrebbe, no?

Peccato che vi abbiano sversato tanta di quella merda, nel corso degli anni, che smuovere un sassolino dai fondali significherebbe mettere in circolo tossicità allo stato puro.
Ecco cosa accade quando si smuovono consolidati strati di schifo, per riconvertirsi e non crepare.


 








 

giovedì 8 settembre 2011

Eureka!


Ecco: la risposta a tutto.

Ed il nome è una garanzia.

http://www.alcor.org/

Two seconds, XL*


Alcor non trascorreva le vacanze solo con la propria ragazza da poco meno di 29 anni. E la cosa  deve aver avuto un effetto positivo sul suo organismo, perché, nonostante la pressoché invariata determinazione nel non praticare alcun atto finalizzato all'estinzione dell'adipe in eccesso, i suoi alunni l'han ritrovato più in forma e più giovanile (mah!).

Discrezione e buone prassi sulla tenuta della diplomazia familiare, quando vi è una particolare dedizione alla lettura, consiglierebbero di omettere dalla cronaca la pedissequa narrazione della vita di coppia vacanziera, nei suoi aspetti più intimi e appassionanti.

Ergo, escludendo dalla celebrazione di quei venti giorni, tali estasiatici dettagli....

... ... ...

...Racconto completato.






* il titolo del post non allude ai tempi di reazione di Alcor nei riguardi della massima espressione di bellezza in circolazione nel sistema solare, bensì ad un particolare equipaggiamento da campeggio.

martedì 6 settembre 2011

Spread


In questi giorni tutti gli investitoi fuggono come la peste dai listini europei, alla ricerca di rifugi sicuri.



Questa mattina la Banca Centrale Svizzera ha deciso di bloccare il cambio con l'euro, fissando un tetto massimo per limitare l'apprezzamento della valuta elvetica.



Risultato di tutto questo, tutti si rifugiano nell'oro: 1.920 dollari l'oncia e a 1.362 euro l'oncia.



Cala persino il Brent, presumibilmente a causa del crollo dei consumi.



In ogni caso mi torna in mente quella cazzona che mi restituì gli aurei regali da me evasi in suo favore, e le dico: grazie.

domenica 4 settembre 2011

Ad ognuno il suo cattivo gusto


- Ma insomma! Ti sembra giusto?

- Coerente.


- Se non ce lo diceva la tua ragazza di questo "coso" dove scrivi, non avremmo mai letto un messaggio, un biglietto, un qualcosa!

- Che cazzo vuoi, oh?

- Come, "che cazzo vuoi"? Ti sei suicidato!

- Non si chiama "coso", è un blog. E comunque ve l'avevo detto, e con un lessico abbastanza comprensibile per il vostro basso profilo scolastico.

- Ma quando ce l'avresti detto?

- Ma a pranzo, cretino, poco fa.

- Ma quando?

- Mentre mangiavi il polpettone e ti accusavo di non aver mai voluto riporre un centimetro di fiducia nei miei confronti, lasciando che io stesso mi convincessi che non ne valeva la pena.

- Mi hai detto queste cose? Ma io non ricordo!

- Certo che non ricordi, te le ho dette parlando ad esempi, a parabole... avresti dovuto capirtlo, da solo, senza disegnino.

- Potevi essere più chiaro però!

- Ma dove cazzo hai sentito mai di uno che si suicida dopo aver ponderato la cosa in un dibattito luculliano... sei scemo?

La vita interiore


- Ma lei è un giocatore di rugby?

- No, pratico attività più tranquille, come la briscola.

- Fuma?

- Sì, ho un'insana propensione al carsismo polmonare.

- Diamo una controllata alla prostata?

- No! Sono diventato obiettore di coscienza pur di non far visitare la mia prostata! La prego...

- Ma giunti alla sua età un controllo sarebbe opportuno, suvvia, non faccia il bambino, si volti.

- Le ho detto di no! E comunque sono ancora giovane per badare alla mia prostata!

- Lei "giovane"? Ma sta scherzando, vero?

- Perchè?

- Lei crede davvero di essere ancora giovane?

- Ma... è scritto qui, legga, sui miei documenti.

- Quali documenti?

- Ecco, questi... ma.... che cosa è successo alla mia immagine?

- Che cos'ha la sua foto?

- Sembra essersi ingiallita, all'improvviso, e il mio nome è sbiadito, la mia altezza dimezzata, che scherzi sono questi?

- Tenga, si guardi allo specchio.

- Ma, chi è questo vecchio canuto?

- Come chi è? È lei, non si riconosce?

- Ma non  posso essere io! Avevo il viso tondo e i capelli neri quando sono venuto qui.

- Quanto tempo crede che sia trascorso da quel momento?

- Come sarebbe, quanto tempo... Un'ora al massimo...

- Un'ora al massimo, dice? Lei ci sta lasciando lentamente, figliolo. Su, si giri, dobbiamo controllare la prostata, è necessario.

- Ma vuole darmi una spiagazione? Che cosa c'era in quel bicchiere che mi ha offerto?

- Dei drenanti naturali.

- E cosa significa tutto questo? Perché sento le gambe cedenti e un forte mal di schiena?

- Che lei deve svegliarsi, giovanotto. Che lei deve necessariamente svegliarsi  e andarsene da qui.




Le scelte sono gli angoli in cui si depositano le scorie della solitudine in cui è confinato ogni uomo. Ai bordi del pavimento, lungo i muri delle stanze, basta una passata di un panno umido per ristabile una parvenza di chiarezza. Agli angoli, invece, resta sempre qualcosa che si deposita col tempo. Lì, dove i contorni si fanno irregolari, dove è obbligatorio svoltare per non andare a sbattere contro un percorso nottambulo, e dove fa più male se ci si rovina contro.

Dopo aver fatto i gargarismi col suo colluttorio rosso, e avendo avuto cura di riporre il suo deodorante ascellare nel bagaglio, andò incontro a suo padre che lo aspettava battendo la pianta del piede.

Allargò il nodo della cravatta per non lasciare che l'ansia lo strozzasse. Qualche felpa per la sera l'aveva portata con sè. Doveva ancora interpretare gli adattamenti del suo corpo ad un clima diverso a quello a cui era abituato. Ogni tanto si schiariva la voce con un grugnito silenzioso per modulare meglio le sue parole. Aveva capito che plasmando bene le parole avrebbe potuto rendere meno infettivo il suo accento marcatamente distintivo.

Durante il volo provava a intavolare discorsi con se stesso per saggiare i suoi progressi nel tenere  a freno le mani, per controllare meglio gli effetti dell'ansia.
Che avrebbe avuto a disposizione poche altre occasioni lo sapeva bene. Non si è giovani per sempre. E la resa dei conti inesorabilmente è depositata sempre là, all'angolo della stanza.

Avrebbe sciorinato ancora una volta il novero delle sue esperienze. Una ad una, come un susseguirsi di stazioni deraglianti che non avrebbero mai conosciuto un approdo. Avrebbe provato ad offrire alla commissione una rilettura di quegli eventi che fosse meno ufficiale. Avrebbe tracciato il filo conduttore di quella rincorsa alla normalità affrontata con tanto coraggio ma con pochi apprezzabili impronte nel corso evolutivo della specie umana.

Giunto a destinazione lei lo venne a prendere, e lo abbracciò. Per un attimo ebbe il sospetto che vi fosse una larga pozzanghera che separasse la realtà monolitica e immutabile dall'idea che costei in quel momento stava stringendo tra le sue braccia piene di ardore.

Ogni minuto che da allora trascorse assomigliava al campanello del giudice istruttore che freddamente enucleava le ragioni di una speranza malriposta.

(I vincenti li riconosci subito, riconosci i vincenti e i brocchi. Chi avrebbe puntato su di te? Io avrei puntato tutto su di te, Noodles. E avresti perso.)

Lei le offrì una granita all'anice, preparata come solo sua madre sapeva fare. Era diventata consuetudine da un po' di anni. Egli guardava il suo bicchiere di granita nel quale giaceva l'ultimo sorso. Pensò che non aveva sempre bevuto granite. Che per larga parte della sua vita le granite erano fluite in maniera indifferente senza che gli venisse mai venuta voglia di berne un bicchiere. Tanti anni erano trascorsi senza che le granite fossero mai esistite.

Un giorno, invece, s'accorse che faceva caldo e che non aveva fame, e che una granita gli sarebbe bastata per restare in compagnia di persone a cui avrebbe poi voluto bene.

Pensò che questa volta non sarebbe stato necessario avvisare a casa che il viaggio era andato bene.

Per anni gli avevano insegnato ad aspettare, a rinunciare, a restringere il ventaglio delle scelte. Si presentava al mondo dei vivi ricolmo di un amore che recava in dote miriadi di capitoli incompiuti. Storie affogate nel cesso al primo apostrofo erroneamente collocato.
Come quelle vecchie macchine da scrivere che andavano con i nastri di inchiestro nero. Bastava un dito un po' più disconnesso a rendere inaccettabili discorsi interminabili.

Infilò il suo pigiama invernale, e respirò a fondo il calore che da quell'abbraccio ancora s'infondeva. Una lacrima si addensò alla cornice del suo occhio sinistro, come un vetro rotto da cui penetrava la pioggia.
Sentiva il peso di tutta quell'inadeguatezza a cui aveva lasciato ampi metri di vantaggio, e che proseguiva lenta, lentissima, e lo precedeva nella risoluzione dei suoi algoritmi quotidiani.
Anche con il passo di Achille non l'avrebbe mai raggiunta, perchè essa conservava sempre una precedenza assoluta che le proporzioni dello spazio tempo avrebbero reso incolmabile.
Si nasce tartaruga, o si nasce Achille.
Si nasce compiuti, o si nasce appena.

Sul giornale dell'altro ieri vi era la consacrazione dell'incompiutezza come stagno nel quale la forza creatrice del linguaggio si edulcorava di arazzi pregiati nei riguardi di una cenciosa e scontata banalità a tratti quasi ripugnante.
L'irrequietezza è l'impeto ventoso che schiaffeggia l'insenatura al riparo del mare. Una conca aperta da cui la vita avrebbe lanciato affondi che un lago cheto e descrivibile non avrebbe mai appreso nelle sue computabili rive.
Una forma estrema di annegamento che ha come contorno incompleto la colpa, e come sbocco inevitabile la distruzione di ogni cosa.

Sentiva tutto il peso dell'umidità di un cielo in cui la sera non si rintracciano stelle.

A lei dedicò quei pensieri che si rivelarono gli ultimi. Pensieri che non sarebbe stato capace di replicare su carta per non lasciarsene privo. Ché scrivere è un impoverirsi senza ricevuta fiscale.
L'arte, un condono sull'inconcludenza.

E la smise all'improvviso, calpestato tra i binari di una metropolitana.