martedì 28 luglio 2009

Watch the gap

Il mio coinquilino è un animale.

Lo guardo con gli occhi dell'analista dell'animo umano e lo considero uno spasso. Lo guardo con gli occhi dell' ex ricercatore di politiche migratorie, e penso che grazie a lui si apra un filone interessante: dopo la fuga dei cervelli abbiamo un caso di fuga dell'ormone.

Costui ha un unico chiodo conficcato nel cervello: chiavare. Con qualsiasi essere di genere femminile gli capiti innanzi.
Specifico "femminile", perchè altrimenti sarei in pericolo e mi toccherebbe traslocare in queste specie di catacombe per roditori fognari che sono le subways newyorkesi.

Egli è tra le cause degli squlibri demografici euro-mediterranei.

Lo guardo con gli occhi miei, quelli del misantropo alle prese con la complessità sociale, e mi fa davvero schifo.

"Alcor esci?" - mi chiede - "Certo che esco". - Gli rispondo.

- E dove vai?

- Vado a farmi un giro a Manhattan, sai com'è...

- Ma sei fesso! Resta qua che può scappare una chiavatina con le donne delle pulizie...

- No grazie, vedo se trovo qualcosa di più commestibile in giro, altrimenti preferisco essere autonomo, veramente autonomo.

Ma scopatele tu queste cesse guatemalteche!

La verità è che io ho un bisogno enorme di parlare. Raccontare senza una logica di narrazione, in streaming.

Gaetano è un pizzaiolo palermitano simpaticissimo. Ha una pizzeria nel profondo east di Long Island. Entriamo e ordiniamo dei tranci di caesar salad pizza, il sorriso del compatriota preannuncia una decurtazione di 0,50$ dal bill finale.

Mi raccontano che il cambio è migliorato: stiamo ad 1,49.

Ritorno a casa. La notte è limpida, e vedere le stelle qui è davvero un lusso. La linea F tarda clamorosamente. Quando sei in attesa e ti fermi non puoi fare a meno di pensare. La puntualità esacerbata stimola la fretta e annichilsce la riflessione. Forse per questo non ci vivrei mai qui.

As you leave the train, please watch the gap between the train and the platform.

Così parlano i treni. La tua vita è scandita. Si preoccupano di te in ogni modo. Qui è illegale mangiare i fegatini perché fanno male; le sigarette sono senza ammoniaca.
La tua esistenza è scientificamente organizzata dal sistema.

Nel galoppare ferroso che fa tremare le mura e le impalcature, si attende. Come gli indiani attendevano i bisonti.  Nello scavare il limite della notte fesa dai lampioni della stazione, riscopro il gusto agrodolce dell'attesa.

E l'attesa non è un pasto scondito.

L'orgoglio penetra la vita come qualsiasi oggetto differente dalla carta igienica trapassa lo scarico di questi scomodissimi cessi americani.
Li intasa. Si blocca tutto, e la vita non scorre più.

Ed è per questa ragione che si fluttua senza né annegare, né respirare.

Soltanto un mega allagamento di merda.

Non mi sposto di una virgola, ma mi rendo benissimo conto di non rendere un grande servigio al mio animo.

Qualche volta mi chiedo che fine tu abbia fatto. Non ho voglia di chiedertelo, ho solo voglia di saperlo. Mi piacerebbe guardare la tua vita come da una vetrina sfocata. Entrarci solo se reclamato.
Non lo dovrei scrivere, perché esiste una maniera perversa di recepire certe informazioni.

Però certe volte me lo chiedo, che cazzo di fine tu abbia fatto.


Certe volte me lo chiedo, più o meno ogni minuto.


5 commenti:

  1. mi sa che l'incantesimo newyorkese sta già finendo...

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  2. bella "foto" ... bello squarcio. Scrivi ancora ... parla.

    ....

    ciao Alcor

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  3. Prova a cercare in qualche armadio..tra gli scheletri..

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  4. Magari ci fossero scheletri. Qui la gente non muore mai definitivamente, quello è problema.

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