venerdì 31 luglio 2009

Alcor Act

ESPERITE


tutte le possibili modalità di cazzeggio.


PRESO ATTO


che piove in continuazione;


PRESO ATTO


che anche oggi l'ho presa in culo nell'organizzazione della giornata;


CONSIDERATO


che mi sono inequivocabilmente rotto il cazzo di questo clima disgraziato;


APPURATO


che secondo il mio coinqulino si risolverebbe tutto nel procacciarsi al più presto una qualsiasi chiavata;


RITENENDO


grossolanamente non risolutiva la proposta di cui sopra,


CONSIDERATO


che cio è dovuto al mio essere assalito dai soliti incubi;


E CHE PERTANTO


se questa condizione dovesse oltremisura persistere, provvederò a farmi le trasfusioni di LSD (o farò analizzare il garlick in polvere che temo sia nevro-stimolante);







PRESO ATTO


di quanto detto,


SI DELIBERA QUANTO SEGUE:


mi metto a lavorare.


W i dati statistici.
E  mi chiedo perché quando sono arrivato qui non m'è venuto in mente di spacciarmi per uno scrittore, un poeta, un attore... (porno, se non avessi l'ormone surgelato).
Ho capito perché qua mi è ri-esplosa la voglia di scrivere: ho ricominciato a parlare da solo, a pensare.
Mentre quando ero in Italia, da politico, non facevo altro che parlare all'umanità.




Il provvedimento è immediatamente esecutivo;
astenersi, dunque, dal rompermi il cazzo.



New York,  July, 31 - 2009

il putativo concessionario della propria esistenza
Alcor

















martedì 28 luglio 2009

Watch the gap

Il mio coinquilino è un animale.

Lo guardo con gli occhi dell'analista dell'animo umano e lo considero uno spasso. Lo guardo con gli occhi dell' ex ricercatore di politiche migratorie, e penso che grazie a lui si apra un filone interessante: dopo la fuga dei cervelli abbiamo un caso di fuga dell'ormone.

Costui ha un unico chiodo conficcato nel cervello: chiavare. Con qualsiasi essere di genere femminile gli capiti innanzi.
Specifico "femminile", perchè altrimenti sarei in pericolo e mi toccherebbe traslocare in queste specie di catacombe per roditori fognari che sono le subways newyorkesi.

Egli è tra le cause degli squlibri demografici euro-mediterranei.

Lo guardo con gli occhi miei, quelli del misantropo alle prese con la complessità sociale, e mi fa davvero schifo.

"Alcor esci?" - mi chiede - "Certo che esco". - Gli rispondo.

- E dove vai?

- Vado a farmi un giro a Manhattan, sai com'è...

- Ma sei fesso! Resta qua che può scappare una chiavatina con le donne delle pulizie...

- No grazie, vedo se trovo qualcosa di più commestibile in giro, altrimenti preferisco essere autonomo, veramente autonomo.

Ma scopatele tu queste cesse guatemalteche!

La verità è che io ho un bisogno enorme di parlare. Raccontare senza una logica di narrazione, in streaming.

Gaetano è un pizzaiolo palermitano simpaticissimo. Ha una pizzeria nel profondo east di Long Island. Entriamo e ordiniamo dei tranci di caesar salad pizza, il sorriso del compatriota preannuncia una decurtazione di 0,50$ dal bill finale.

Mi raccontano che il cambio è migliorato: stiamo ad 1,49.

Ritorno a casa. La notte è limpida, e vedere le stelle qui è davvero un lusso. La linea F tarda clamorosamente. Quando sei in attesa e ti fermi non puoi fare a meno di pensare. La puntualità esacerbata stimola la fretta e annichilsce la riflessione. Forse per questo non ci vivrei mai qui.

As you leave the train, please watch the gap between the train and the platform.

Così parlano i treni. La tua vita è scandita. Si preoccupano di te in ogni modo. Qui è illegale mangiare i fegatini perché fanno male; le sigarette sono senza ammoniaca.
La tua esistenza è scientificamente organizzata dal sistema.

Nel galoppare ferroso che fa tremare le mura e le impalcature, si attende. Come gli indiani attendevano i bisonti.  Nello scavare il limite della notte fesa dai lampioni della stazione, riscopro il gusto agrodolce dell'attesa.

E l'attesa non è un pasto scondito.

L'orgoglio penetra la vita come qualsiasi oggetto differente dalla carta igienica trapassa lo scarico di questi scomodissimi cessi americani.
Li intasa. Si blocca tutto, e la vita non scorre più.

Ed è per questa ragione che si fluttua senza né annegare, né respirare.

Soltanto un mega allagamento di merda.

Non mi sposto di una virgola, ma mi rendo benissimo conto di non rendere un grande servigio al mio animo.

Qualche volta mi chiedo che fine tu abbia fatto. Non ho voglia di chiedertelo, ho solo voglia di saperlo. Mi piacerebbe guardare la tua vita come da una vetrina sfocata. Entrarci solo se reclamato.
Non lo dovrei scrivere, perché esiste una maniera perversa di recepire certe informazioni.

Però certe volte me lo chiedo, che cazzo di fine tu abbia fatto.


Certe volte me lo chiedo, più o meno ogni minuto.


domenica 26 luglio 2009

Pigs made in Italy

- So, John, what do you think about the swine flu? In Italy there are a lot of rumors...

- Vaffanculo. Do you like cheeseburger?

- No, thanks John. No cheese for me. Salad, please!!!

venerdì 24 luglio 2009

It's not because of heaven

Il giorno più bello, la pioggia non dà tregua.
Immerso in consuete paludi di letture e richiami di parentali comodità. In questa laguna scrostano il terriccio dell'inquietudine la rabbia e la noia del non lasciarsi completamente rapire, attendendo che le goccie che fendono le orecchie siano solo avanzi di piante o di grondaie.

La colpa non è del cielo.

Sembra davvero che i posti siano tutti occupati in questo scriteriato tragitto. E stare in piedi per tutta la durata del viaggio è provante. Soprattutto allorché sembra impossibile determinare il momento dell'approdo.
La colpa non è del cielo. Tutto è qua dentro, pronto a nascondersi dietro le maschere che il mondo assume davanti ai miei occhi tutte le volte che gli appendo una faccia diversa.

E allora anche se piove, non baderanno a me gli innumerevoli ebrei che popolano questo quartiere, la strada chiama.
Non per fare il visitatore del cazzo. Non per fecondare il pavimento della vita con la prestanza dei miei passi, non per accidentare incontri.

Non abbisogno di nulla. Ci sarebbe necessità soltanto di qualche minuscolo correttivo estetico: qualche lampione in più a Clark St.,  un po' di sostanza al caffé, meno odore di onion per strada.

La notte mi rincorre. Eppure non sono io a temere improbabili viottoli che scavano il buio verso il Brooklyn Promenade. Dicono sia stato il punto più affollato del mondo, Park Slope, uno dei più bei  quartieri del mondo, suggeriscono gli opuscoli.

Una donna orientale cammina svelta in ginnico vestiario. Mi guarda e accelera i suoi passi degni di un bonsai strisciante. Capisco di non dover temere mai nulla. E benedico la lunga barba.

La colpa non sarà mai di nessun fattore animato o inanimato, se la vita spesso s'arresta in embolia.
Fumo le mie marlboro smooth per migliorare la qualità del mio brusco respiro.
Fotografo il nulla che è immenso a me innanzi.


E l'East River è una lastra di marmo rigata da pompe, battelli, riflessi di quei colossi d'acciaio e luci.

C'è tutto qui, un cerchio che parte e si arresta all'origine della mia solitudine.

Patetica è ogni voce che tenta di riafferrarmi di là. Qualsiasi zampa protesa a volermi dare una mano.
Su ogni luce appendo una malriposta stronzata, e pontifico il silenzio.

Non una parola. Non un risentimento. Neanche l'ancestrale condizione di provare un qualsivoglia bisogno.
Un nulla puro che non contempla la compagnia degli avventori temporanei che incespicano nella mia vita.
Non il bel culetto francese, non il scientifico criterio del "cazzo di cane" con cui ho speso i primi giorni.

Non una  carrellata di posti, ma un pozzo di vita da espugnare. Il tempo passa rapido perchè ogni giorno è un guadagno, non un improduttivo pareggio.
Vinco anche tutte le volte che l'animo si contorce.

Lontano dovunque io possa essere. Con la mia bisaccia in pelle nera, la mia macchina fotografica.
La mia musica è il blues che quel ragazzo suona con la sua acustica nella subway della 9th St.

Riconosco i miei occhi.

Recano dentro un po' di tutti quei volti che li hanno vessati, e che  adesso conduco con me.

La mia sigaretta e null'altro. Ritornato randagio, con la puzza della strada.
E sono felice.

Questa foto è opera mia.

lunedì 13 luglio 2009

A good trip

Penso che sia giunta l'ora di andarmene davvero.

Arriverò con sei ore di anticipo. E quando voi farete colazione io potrò ancora guardare Giove.

Un ridere rauco,

ricordi tanti, (da accumulare)

e qualche rimpianto. Qualcuno.

domenica 12 luglio 2009

La nuit

- Alcor, e a te, quando ci penserai?

- Mai, io non esisto.

- Non si direbbe...

- Io esisto marginalmente, e per compensare tutto questo, faccio l'egocentrico

martedì 7 luglio 2009

Alcor - zio Tom 2-1 (ai supplementari)

Mi ha preso un sonno assurdo, e staccarmi dal letto equivale a staccare il muschio dalla nuda pietra.
Indi non ho molto da riassumere, e tra le altre cose, l'alimentazione di questi giorni mi ha reso particolarmente argilloso il pensiero.

C'è da dire che ho l'intestino tenue sfondato come la costruenda metropolitana di Napoli.
C'ho il blocco dei lavori, e forse a furia di scavare potrei riportare alla luce qualche reperto, tipo la lucina verde dei Lego che ingoiai a 5 anni nel tentativo di staccarla coi denti da un altro pezzo.


Mangiate per una settimana insalata di riso a temperatura ambiente, fatevi bloccare un volo transoceanico a poche ore della partenza e vedrete se, tra materiale alimentare in sosta e fregatura entrante, il vostro culo non collasserà.

L'allegorica famigerata mandria di rinoceronti che risale lungo i canali anali è una metafora di arcaica generazione.

Ma si sa a tutto c'è una spiegazione in questa immensa settimana enigmistica che è la vita. E se unisco tutti i puntini forse forse un'interpretazione la trovo.
Mi ricordo una frase di Thomas Becket nell'opera di Eliot, "non compiere mai l'azione giusta per il fine errato".

E se questa era una fuga, insomma, sarebbe stata una gran cacata. Andarci ora, che m'è passata la voglia, a furia di far la guerra con la burocratica organizzazione col mondo, forse ha pure più senso.
Visto che la guerra l'avrei anche spuntata. Ma non farò mica l'errore di Bush in Iraq che si mise a far bagordi di fanfare inscenando un bellico trionfo mentre stava per cominciare il vero disastro...

Effettivamente mi mancava qualche pipposo tassello da dipanare, tipo trascorrere qualche giorno imprevisto nella patria capitale per disintoccarsi da un pochino dalla bile eccessivamente escretata.
Ma soprattutto riuscire finalmente a sedermi da solo ad un tavolo per consumare un fiero pasto, e giocare davvero serenamente una partita a quattr'occhi con la solitudine senza sentirmi un pezzo da cabotaggio nell'arcipelaga esistenza.

Sentirmi solo fino ai morsi della fame non mi era mai capitato, e mi mancava 'sta prova per evitarmi gli attacchi di panico che tutte le amiche psicologhe hanno unanimemente pronosticato.

Forse ora che sono indifferente sono pronto. La felicità è femmina, per averla la devi sonoramente mandare a fanculo.

Però aspettiamo: può sempre succedere che il mio passaporto venga smarrito dalla mail boxes che deve farmelo recapitare a casa farcito di tutti  quei cazzi che mi hanno ancorato in Italia.

Oppure può capitare che mi becco un trauma cranico mentre tento di emulare Zidane con il prossimo tizio che manifesta in mia presenza apprezzamenti per Franceschini.

Oppure... no meglio che sto zitto sennò succede davvero.

Fanculo a tutti.
Non vi voglio per niente bene. Solo che mi curo di voi per dimostrare che politicamente sono bravo.

"Azione giusta per il fine sbagliato", ma non voglio mica esser santo.
L'idea di avere un giorno sul calendario dov'è sancito che qualcuno si debba ricordare di me mi fa solamente inorridire.

sabato 4 luglio 2009

Ready... fight

E adesso datemi 'sto cazzo di Visto che devo mandare un mondo a fanculo.

Sulla triplice presa per il culo del principio del partito liquido

Un leader eletto a primarie universali da milioni di persone, per lo più scazzate, costrette, e incapaci di capire cosa e perché votano.
Capiscono solo che devono lasciare ogni volta dalle 3 alle 5 euro.

Egli deve dar conto a milioni di persone, ad un'entità numericamente indistinta da rendere pressoché atomizzata la responsabilità per le proprie azioni.
Un sistema cesaristico senza i contrappesi tipici di un sistema presidenziale.
La democrazia, al contrario, si qualifica in primo luogo con la precisa imputabilità delle responsabilità pubbliche.

Rileggiamo Locke.

Il leader siffatto è qualcuno che fa i cazzi suoi in maniera assoluta praticamente. Che è anche capace di pensare che da solo può aspirare a governare una nazione più complicata della psiche femminile.

Un modello di indicazione della leadership estremamente bloccato, dove la mediaticità e la notorietà rendono la partita delle primarie olisticamente contendibile fra le solite facce.
O peggio, accompagnato con qualche astro nascente  svezzato nella incubatrice di youtube.

La contesa avviene su basi paragonabili al televoto dello zecchino d'oro, anziché sulla discussione dei progammi e su un serio dibattito sulle alternative in campo.
E' vero, le sfumature personali non saranno mai del tutto valorizzate,  ma almeno ho l'oppurtinità di discuterne in sezione con quattro amici, bevendo una birra e giocando al tressette.
E si sa, qualche volta elaborare pensieri fini a se stessi non è proprio un macabro esercizio.

Sulla mia testa gravano 800.000 euro di debito pubblico finché campo. La spesa pubblica  finanzia in maniera preminente pensioni e servizi sociali, tralasciando i trasferimenti in conto capitale che generano ricchezza e lavoro per i giovani;  gli ammortizzatori sociali si chiamano social card e cassa integrazione.
Chi non ha nulla, non esiste proprio.

Sono castrato dalla persitenza degli ordini professionali, e ho buttato 5 anni della mia vita per un titolo di studio che non assorbe nemmeno l'orina che straripa dalla tazza del cesso.
La spesa per l'istruzione è pari a quella che il mio ottimo presidente della Provincia spende per costruire scuole e ristrutturarne altre.

Facevo il ricercatore gratis, e poi mi sono rotto il cazzo.

Altro che simpatia, Debora.

La democrazia è un bene con cui è meglio non abusare.
Delicato e fragile.