lunedì 26 maggio 2008

A spasso con Kierkegaard e l'Ego trionfante - chapter 2

Agamennone compì una scelta. Era un capo, ed il capo deve riuscire a dispensare con saggezza punizioni ed onori, tamquam in commentariis de bello gallico Caesar docet. Ma il ruolo incarnato condensa già in sè il paradigma compiuto delle scelte che non riserva alcuno spazio alla meditazione delle opportunità. Il copione è già scritto al di fuori d'ogni intima e personale convinzione circa la bontà del proprio imminente operato. Agamennone aveva arrecato offesa ad Artemide rivolgendosi ad ella con  arroganza dopo averne trucidato una cerva sacra; un errore che un capo non può permettersi. Ducere richiede un'approssimazione alla perfezione più intensa che a qualunque altro essere seguitante l'altrui sommo esempio. La dea, incollerita da cotanta protervia scatenò acrimoniose tempeste al largo delle coste della Beozia, impedendo alle triremi achee di salpare alla volta di Troia. Aurispex Calcante, mediatore tra creato e creanti, indicò in un sacrificio che saziasse la dea inappagata della sanguinaria sete l'indispensabile riparazione all'offesa arrecata. Agamennone immolò sua figlia Ifigenìa all'altare della divinità per consentire il compimento della vanagloria del suo popolo tra le inutili macerie e le ceneri della città di Priamo, laddove egli stesso conobbe le fauci dell'Ade.

"Vexilla regis prodeunt inferni
verso di noi; però dinanzi mira",
disse 'l maestro mio, "se tu 'l discerni"

[...]

"Quell'anima là sù c' ha maggior pena",
disse 'l maestro, "è Giuda Scarïotto,
che 'l capo ha dentro e fuor le gambe mena.


E Giuda allora? Che personaggio sublime nella malattia mortale della sua "non scelta"... Se Kierkegaard è stato il padre dell'esistenzialismo, Giuda ne è stato il progenitore atavico. Nel doversi eternamente consacrare all'odio e al male per spalancare i cancelli all'affermazione del bene nella sua forma maggiormente elevata.
Nella più crudele veste di rinuncia di sè che lo scibile umano possa configurarsi mai.
E raccontate ai quattro sentieri che strisciano meglio di quanto aleggi il vento e si ramificano portando via con essi una brano inconcluso di me, quale follia muove ogni acuto di voce che sconfigga una volta per tutte questo estraneo silenzio che non mi consente di riconoscere e ritrovare, e rimediare.
Ed ogni cosa comporta sacrifici tali, nelle non scelte a cui si genuflette l'individuo inesausto della sua schiavitù tenera, che pur nel tripudio del soddisfacente ristoro dalle lacrime conserva ancora quell'embrione di rinuncia e piaga che è insita ad ogni mossa per cui val la pena di agitare un dito.

Non riesco più a piangere. Non trabocca, non scalcia la mia rivolta.
TELEFONO

Finalmente riusciamo a parlarci... come stai? Io, bene. Sì... sì... Come? No... ieri sera non sono uscito, non mi andava poi molto. Cosa ho combinato? Be', direi che sono un po' dimagrito... del resto... ah, sono contento per te. Davvero. E che ti devo dire, non so cosa pensare... qui è tutto un casino di albe e tramonti che tu non riesci neppure ad immaginare... non fa niente che non capisci... sì lo so, comincio a dubitare io stesso di avercela ancora una testa sul collo... sai De Chirico? "Il grande metafisico", che dipinto meraviglioso... 1917 se non sbaglio... A presto, ciao...






Una delle rarissime persone che riesce a causarmi sulla corteccia cerebrale un ruvido altorilievo della nostalgia. E mentre finisco di parlare al telefono mi ritrovo in una piccola macchina color grigio chiaro metallizzato, e infilo una mano fuori dal finestrino per aprire lo specchietto retrovisore lato passeggero.  Dove stiamo andando? Fidati e sta' zitto.
 
- Mi fai il favore di togliere quelle mani dalla mia nuca per piacere?

- Ahia! Alcor, ma sei impazzito! Che hai a quella mano?

- Che ho? Niente.

- C'hai gli artigli!

- (terza intervenuta) Vediamo? Ma suoni la chitarra?

- Sì.

- Hai la mano sinistra con le unghie corte e la destra con le unghie lunghe, chitarra classica o acustica, direi.

- Perspicace la donna. Vediamo se sai fare di meglio... guarda qua.

- Acustica.

- Donde lo desumi?

- Hai i calletti dei polpastrelli più duri e scuri, quindi corde di acciaio, quindi chitarra acustica.

- Complimenti. Grava già un'ipoteca su di te?

- Come dici, scusa?

- Niente, lascia stare; stavolta pretendo troppo è evidente. E poi hai già dimostrato abbastanza, tranquilla. Stasera sono piuttosto magnanimo. Tu, togli quelle manacce e prendi esempio dalla tua amica. Tu invece le mani mettele pure, mi permetto di dirtelo tanto non lo farai. (Sorrido)

- E chi te lo dice?

- Hai un diamante all'anulare sinistro. E non è nemmeno tanto discreto. Nonostante non mi pari così tanto convinta... ma non ti preoccupare gli attimi di incertezza capitano. Soprattutto quando si fanno pegni così sostanziosi, quasi a volersi radicare intorno ad un dito per sopperire l'assenza. Non c'è, vero? Lontano parecchio? Torna raramente? Magari in questo momento sta anche lavorando e non chiama, o almeno così ti ha raccontato... forze armate, giusto? Missione all'estero? Direi probabilmente che si trovi da qualche parte come i Balcani, anche se è primavera lì si gela. Probabilmente porta anche la barba lunga. Quando tornerà andrà a salutare prima il barbiere e poi verrà da te. Per riscaldarsi fuma un sigaro toscano trafugato a poco prezzo in una bottega a Sarajevo... con quella barba lunga assomiglia al "Che", ma no, sono sicuro che è pure di destra...  senza offesa ovviamente. Mette soldi da parte perchè si avvicina il momento giusto per consolidare il rapporto, anche se non credo che stiate insieme da molto tempo, giusto? Però a furia di star lontani, e con l'età che avanza, meglio cominciare a trasformare in qualcosa di tangibile ciò che è sempre preda dell'effimero. Sai, facciamo tanto i sentimentali, ma abbiamo bisogno di simboli e oggetti che incarnino quello che proviamo. Che tutto si trasformi in un pensiero,  in un oggetto carino, in un regaluccio ogni tanto... Disse Eduardo che Romeo e Giulietta per vivere quello che hanno vissuto per forza di cose dovevano essere ricchissimi, altrimenti con la pancia vuota sai che fine faceva il loro romanzo amoroso? Si pigliavano a capelli dopo qualche minuto... Quanto avrà speso per quella pietra?

- Credo più di quanto tu pensi...

- No... non mi frega niente se ci ho azzeccato o meno, tanto farò di tutto per dimenticarmi queste idiozie nel giro di qualche giorno. Ti vuole proprio tanto bene... non deluderlo.

Quanto c'è della necessità di spogliarsi del proprio essere, del proprio Ego, per essere degli eroi, o più semplicemente per accordarsi qualche vacua idea di successo od affermazione? Quanto si deve rendere in termini di rinuncia a se stessi per portare a compimento il processo di esaltazione della propria pienezza... Sarà per questa ragione che ho sempre sostenuto la causa dei cattivi, che vedevo sempre come esseri infelici che provavano a lasciare un segno nella vita, in tutte le storie dove il trionfo scontato del protagonista amato e riverito non faceva altro che rendere ogni vicenda pallidamente identica ad un'altra. Nella positività solare e indefessa che annoia e blatera un rinnego della vita che è sempre un doversi rinidificare in continuazione tra tesi, antitesi e sintesi. Che la vita non è un'eterna trasformazione monotòna senza origine e senza soluzione di compimento.
Che il bene pretende sempre un annullamento di se stessi così drammatico e disperato da accettare, nella scoperta che la felicità non la si plasma con le proprie mani, ma la si deve attendere dal cielo, come terra arida e assetata... Si muove in maniera così crudele, il bene... è una dittatura, è una totale espropriazione della propria privata identità, è sovietico, il bene. Nichilista è il bene, non è mai prettamente umano. Serve qualcosa che lo superi, che anziché depauperarsi nel punto debole dello stato religioso, approdi ad un nuovo umanesimo.
La pienezza dello spirito che tenta l'ignoto, come Agamennone, la volontà di dominio che suscita l'eroe, Übermensch.

Ho bevuto solo una Weiss pagliericcia da mezzo litro, di fronte ad una donzella magra che ascoltava. Caschetto scuro, colore non suo intonato agli occhiali. Ma le donava il nero, indubbiamente. Che diavolo vai raccontando in giro di me? Perché pensi delle cose senza conoscermi nemmeno un po'... Che ne sai tu?

- Allora? Potrò venire a trovarti a Glasgow?

- Se ci andrò, volentieri...

- Tu verresti a trovarmi a Dublino?

- che ci sta in quell'intruglio arancio-rosa che stai bevendo?

-  ... nel fine settimana son più libera...

- che pessimo sapore 'sta birra qua, ma chi cazzo me l'ha consigliata... scolatene mezzo litro adesso, cribbio...

- ...è semplice, prendi l'aereo da Roma e arrivi direttamente a Dublino...

- ... Certo che "Dublino" merita, vedrò...
Che strane queste trasferte... E poi, una cosa del genere chiestami ora. Proprio adesso che ancora devo rendermi conto di essere tornato senza provare acerbo disgusto per quel che mi circonda in questi momenti. Mi son già trascinato a stento sulle spalle una città ancor più preponderante come effetto collaterale della mia evanescenza, non mi trascinerei in tal maniera anche una persona. Simpatica, tra l'altro. Perché l'ordine sarebbe simmetricamente inverso. L'Irlanda non mi è indifferente quanto la Francia.
E comunque sussiste, il problema, cazzo. Sussiste per me che rido come un idiota.
La più nobile specie di bellezza è quella che non trascina a un tratto, che non scatena assalti tempestosi e inebrianti, una tale bellezza suscita facilmente nausea; ma è quella che si insinua lentamente, che quasi inavvertitamente si porta via con sé e che un giorno ci si ritrova davanti in un sogno, ma che alla fine, dopo aver a lungo con modestia giaciuto nel nostro cuore, si impossessa completamente di noi e ci riempie gli occhi di lacrime e il cuore di nostalgia.

F. Nietzsche

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