domenica 16 novembre 2008

Era solo un pupo






Fu un vero raccoglimento quegl'istanti rari che l'avara vita concede, di vera grande oggettività in cui si cessa finalmente di credersi e sentirsi vittima. In mezzo a quel verde rilevato tanto deliziosamente da quegli sprazzi di sole, seppi sorridere alla mia vita ed anche alla mia malattia. La donna vi ebbe un'importanza enorme. Magari a pezzi, i suoi piedini, la sua cintura, la sua bocca, riempirono i miei giorni.
E rivedendo la mia vita e anche la mia malattia le amai, le intesi!
Com'era stata più bella la mia vita che no quella dei cosiddetti sani, coloro che picchiavano e avrebbero voluto picchiare la loro donna ogni giorno salvo in certi momenti. Io, invece, ero stato accompagnato sempre dall'amore.
Da me la vita non fu mai privata del desiderio e l'illusione rinacque subito intera dopo ogni naufragio, nel sogno di membra, di voci, di atteggiamenti più perfetti.



Italo Svevo - La Coscienza di Zeno



giovedì 13 novembre 2008

Siate insipidi, siate scrotologoranti, siate banali e superficiali come la reflua schiuma che invecchia le onde.

Siate distratti come una foglia di mandorlo desta a febbraio e poi fottuta dall'inverno; siate lesti a fuggire le responsabilità, come un cane randagio che si lascia scappare l'osso marcio dalle fauci, alla prima faina che spia alla sua destra.

Siate irrisori ed inutili qualunquisti che battete strade senza marciapiede e segnaletica orizzontale.

Siate funzionali al mondo come una pista ciclabile al campo santo.

Siate, siate, e non rompete il cazzo a quelli come me, che alla vostra vergogna antepongono un Pinot Nero, una candela di oppio, e una pagina bianca puntellata da goccie di un inchiostro trasparente, con le mani in tasca e il naso pigro.

martedì 11 novembre 2008

25


Cazzo mamma, ti avevo chiesto il tiramisù.
Non la solita torta di mele con la margarina e la crema pasticciera!
 
Ma come?
Ti arrabbi! Mi intimi di imparare a prepararmi i dolci da solo? Vuoi proprio rimuovere quest'ultima ragione d'amore fra di noi, mamma?

Vuoi recidere queste ultime cellule del cordone ombelicale che raggomitola la mia solitudine e la mia alienazione?
Vuoi davvero uscire dal muro e fottere Edipo? E fai pure, fai... poi non piangere.




Mamma ti ama, figliolo,
E pure papà.
Ed il mare sembra tiepido,
ed il cielo pare azzurro.

Ma non andare a pattinare sul ghiaccio sottile. Come sulla vita.
Portandoti dietro silenziosi rimproveri,
di milioni di occhi in lacrime.
Il ghiaccio crepa ai tuoi piedi.

Scivoli fuori dai tuoi abissi e fuori di testa
Senti? La paura ti scivola dietro...
Mentre graffi.

- Cazzo fischi, Alcor?


- E nuda è la strada e i binari e le insegne e nuda sei tu...  il mondo ora è nudo, se non lo copre il tuo sguardo...





domenica 9 novembre 2008

21





Ho già sulle spalle un bel fardello di cose passate.
E quelle future?


Che sia per questo, per non sentire il peso di tutto questo, che continuo a non prender nulla sul serio?

venerdì 7 novembre 2008

18


- Buon giorno Prof.

- Uè, il dott. Alcor... Che ci fai qui?

- Niente, sostituisco un suo collega per qualche ora di ricevimento con gli studenti.

- Chi sostituisci?

- Il prof. XXXXXXXX

- Ah, capisco, XXXXXXXX ha rotto i coglioni.

- Son d'accordo con lei Prof.

- Bene, Alcor, andiamo a farci il caffè.

- Subito Prof.

mercoledì 5 novembre 2008

15


- Ma com'è che devo essere?

- Stronza. Indecisa. Ma stronza.


Stasera ultima sigaretta.
Così parlò Zeno Cosini.
14


Un cappotto.
 Grazie Americani, la prossima volta delocalizziamo anche le nostre elezioni.
Potete prestarci qualche ispanico, o qualche afro-americano?
Sennò prestateci direttamente i coniugi Obama.

Oggi vi amo tutti, con qualche eccezione ovviamente.

martedì 4 novembre 2008

Alcor live24, finché resto sveglio

13


Prologo


Signori cari, non voglio apparire né eccessivamente disfattista, né sembrare come colui che rema contro sempre e a prescindere.
Obama ci ha emozionato come un'opera d'arte. Ci ha aperto le mani e ci ha consegnato un sogno in quella parola che ha trionfato ampiamente sugli striscioni: CHANGE.
Come un'opera d'arte non importa quello che quest uomo ha raccontato, non importano tanto i contenuti, ma la scelta delle parole, la commozione. La positività che si emana per ciò che si rappresenta.

Questa persona potrebbe irretirci con delle cacate pazzeche, ma le dice lui, e le dice alla sua maniera.
Per questo affascina, mentre l'altro ingenera alla carità di una badante.
Bastava vederlo saltellare come una trottola sotto le note di Gonna Fly Now per farci venire voglia di abolire  il sistema previdenziale da ogni modello di Welfare State. Vedere ballare McCain, non so a voi, ma a me ha indotto a pensare che gli anziani dovrebbero morire di fame anziché disperdere le risorse dell'erario.

Poi leggo i programmi elettorali di entrambi, e nonostante qualche rimarchevole differenza ,leggo stronzate pazzesche da entrambe le parti ad esempio sulla politica energetica: Obama è per il biogas e McCain per nuove centrali nucleari o per la trivellazione di nuovi giacimenti petroliferi.
Leggo con qualche costernazione le perplessità di Obama sul NAFTA perché il Messico fa paura, nonostante una maggiore attenzione verso le iniziative del WTO, ed abbiamo il Doha Round che è sostanzialmente fallente. Manca tuttora una visione vera e GIUSTA di questo cazzo di mondo. Il che mi porta a pensare che in ogni caso non esisterà mai una filantropia condivisa che conduca ad una leadership mondiale realmente incline al benessere generale.
Occorrono passi lenti e pensieri lunghi ed il tradizionale approccio multilaterale dei Democratici quanto resterà immune dalle tentazioni protezionistiche indotte dalla crisi finanziaria?

Forse a salvarci sarà ancora una volta la Cina, con le massicce e irrinunciabili acquisizioni di titoli di debito americano. Le interazioni internazionali nei mercati finanziari comunque garantiscono aperture e non arroccamenti.
Certo vedere gli States a 90° che si fanno inculare dagli eredi di Mao non è una bella immagine per gli occidentali. Soprattutto se nel Vecchio Continente anziché partecipare all'orgia si preferisce assistere inermi e col cazzo in mano per via dei ritardi strutturali, e per un mercato interno tuttora bloccato dalla ritrosia degli Stati Membri ad avere una visione politica ed economica unitaria.

Il Ministro italiano delle politiche agricole che si vanta di aver salvaguardato gli interessi delle aziende agricole italiane minacciate dall'abolizione dei dazi, ci dà un'idea della preparazione mesozoica dei nostri politicanti da 4 sesterzi che ci ritroviamo.
LI AVETE VOTATI VOI. Bastardi

Comunque, le cavolate raccontate in campagna elettorale in America contano quanto un borlotto sparato nello spazio aperto. Perché in USA una cosa l'hanno capita bene nell'era dell'ITC e dei mass-media. Che sono aumentate le persone che si informano, è vero, ma si è polarizzata anche la massa dei coglioni proletari.
Che la manipolazione è più fattibile, e che il linguaggio è davvero un discrimine nuovo per schiavizzare la percezione dei valori. Libertà, eguaglianza, giustizia non sono più concetti puri come li descriverebbe Kant. Sono dei prodotti corrotti dai messaggi che si vuole che il popolo percepisca.
Come gli spot sulla legge Biagi nel 2003. Ricordate?
Dicevano: "che bello il lavoro flessibile o part-time, viene incontro alle mie esigenze di avere più tempo libero per me stesso e per la mia famiglia". Imbecille, col precariato non avrai mai una famiglia.
Il non lavoro diventa bello perché consente di avere tempo libero. Diventa un valore.
La "libertà" è la carta bianca per i governanti, e la giustizia è consentire a chi governa di farlo industurbato. La democrazia non è consentire a tutti di poter essere partecipe del proprio destino, ma una clava che la maggioranza (relativa) utilizza per annichilire e smerdare le minoranze.

Per questa ragione, un'unica cosa importa nelle elezioni: conquistare il potere. A qualunque mezzo.
Fatto questo, con un po' d'astuzia ed un po' di belle parole, si cerca di attuare il proprio programma tenendo ben presente una cosa: mantenere salda la maniera con cui prendere per il culo il popolo. Se possibile, però, farlo senza cadere nell'illecito. Occore fortuna e intelligenza. E spesso la prima è una diretta conseguenza della seconda.
Per questa ragione voglio che vinca Obama, ma mi curo poco di quello che ha detto finora. Perché negli USA hanno capito il gioco, e finora hanno solo fatto spettacolo per guadagnare Camp David.
Bush nel 2000, ad esempio, era quello di una politica estera "mite" durante i suoi discorsi da conventions, e poi ha fracassato il cazzo in quella maniera a tutto il sistema solare.

Questa è la politica, un'arte che mette l'uno in relazione con i tutti, la più alta forma di carità (Paolo VI), ma un compromesso non indolore con le contraddizioni, le spinte e le irrazionalità profonde che turbano comunque in fondo ai bisogni dei tanti.

Non vi piace? Fa schifo? Vi sembra una cosa sporca?
Benvenuti nel genere umano.

Chiedete scusa ad Hobbes e a Machiavelli.





McCAIN, veffengul au louvre.


00:00 - Qualche minuto fa, da YouDEM - Giornalista incompetente e sen. Latorre. Esempi lapalissiani di ciucciaggine indotta dalla retorica:

"- sen. Latorre, un democratico come lei che cosa invidierebbe ai democratici americani?

- innanzi tutto, mi augurerei di poter vincere..."

MA CHE CAZZO DI DOMANDE FATE? (per non parlare della risposta...)

00:50 - YouDEM fa cacare. Ancora non mi si è rotto il cazzo. Vedo Matrix.

01:04 - Primi exit-poll. Il Kentucky andrebbe a McCain, il Vermont a Obama, come nel 2004;  perderemmo 8 - 3. Mio padre è andato a letto, Frattini e Veltroni anche, ma mio padre russa. Ho collocato vicino alla mia poltrona un gigante vassoio di nutella. Oltre che lenire le improbabili angosce amorose, la nutella funge da protezione gastrica per ascoltare Carlo Rossella.
Voglio uscire di casa, e gridare. Magari appendermi alle inferriate di un cancello.

01:26 - La Virginia non si sa a chi va. Frattini non è andato a letto, è andato a Porta a Porta, e sta intimidendo gli italiani dicendo che Obama ci chiederà un maggior impegno in Afghanistan. Perché siamo tutti uguali... wafer alla nocciola.

01:55 - South Carolina a McCain, come nel 2004. 16 - 3. Comincio ad essere un po' pessimista.  Che faccio, rollo la mia canna? Mamma mia quanto è bona la Melandri...

02:02 - Obama 77 - McCain 34. Anguria bianca che diluisce l'urina.

02:30 - Forza che rischiamo di fottere pure il Texas!



sonno



12


- Molto bello, Alcor. Però, sinceramente, sono stufa di questa tua aria melensa e melanconica. Vuoi ballare?

- Perchè no? Tu sei Jennifer Beals?



...di nuovo cambiano le cose
di nuovo cambio luna e quartiere
come cambia l'orizzonte, il tempo, il modo di vedere
cambio posto e chiedo scusa
ma qui non c'è nessuno come me...




domenica 2 novembre 2008

La favola del nipote cambiato

10






Non guardarmi in quella maniera, assottigliando le labbra e sbracciando le ciglia. Com'io modifico nella mia immaginazione la tua smorfia. Perché sicuramente sarai indifferente, come nella foto che stavolta non ho guardato. Il fatto è che nonostante siano trascorsi quindici anni, proprio non riesco ancora a individuarti all'interno di quel prismoide di legno lucido e castano.
E neppure dietro quella tenda di marmo verdognolo con sfumature venose come la mano di un anziano. Come un vetro che si traveste da specchio, è quella lapide dove posso scavare il mio volto piegato come un bassorilievo.
Quest'anno, da mascalzone che sono, non mi sono presentato.
E te lo dico adesso, francamente. Non mi presenterò nemmeno il prossimo anno. E neanche a Natale e a Pasqua. E nemmeno il giorno del tuo compleanno. Nemmeno il giorno dell'anniversario del tuo commiato.
Correva l'anno 1993. Mia zia osservava i balconi pieni di fiori e ciascun oggetto che nasceva al suo sguardo sapeva raccontare lo strazio della tua morte. Persino un davanzale anonimo, freddo, e straniero che si faceva mordere dalla brina di settembre con noncurante scazzaggine.
Più o meno la medesima che mi sta inflaccidando le ossa delle gambe in questi giorni di magra e fame.

Quel pomeriggio mi facevano schifo i ragazzetti che urlavano smontando i relitti di una giostrina arrugginita e rossastra, ridendo a qualche metro dalle lacrime sordide di mia madre.
Con un po' di istrionismo ortografico, il giorno dopo ho trasformato il 9 in una G, ed il 3 in una F. Mi firmo con una data.
Ma lì, dove sei ubicato attualmente, non ci voglio rimettere piede.

Il binocolo che mi hai lasciato per scrutare le stelle devo ancora farlo riparare. La lente destra deve essersi distorta. Anche se dubito che si riesca a trovare un ottico capace per risistemare simili gioiellini. Male che vada socchiudo un occhio e tiro avanti. Come nella vita.

Volevo avvisarti di alcune cose, nonno. Il PD non riesce a far breccia nell'elettorato bifolco. Se riesco a metter mano su qualche documento, stavo pensando di servirmi meschinamente del tuo nome per praticare una sorta di ricatto morale verso gli ex coloni a cui tu hai consentito di coltivare i campi e cibarsi di gelsi e castagne. O a quello che ne resta, visto che io corro verso i tristissimi trentanni, col brizzolo adelante, ed il contado è ridotto ad una generazione con la memoria appiombata.  
Lo so, sarebbe anche una pratica democristiana. Ma tu approverai. Del resto, è quello l'ambiente in cui ho vissuto.

Chissà se te lo saresti mai immaginato che io avrei ripercorso le tue orme, muovendo i primi passi all'ombra di una quercia che voleva risciacquare la muffa depositata sulla falce e il martello.
Una donna prematuramente vedova, una "compagna", che conoscevo per la sua funzione di addetta alle braciole alla festa de L'Unità,  nonché per la fama di spalanca-gambe in favore della nomenklatura leninista locale,
una sera mi inseguì  commossa tra i tavolini delle riffe, e gli spiedi grondanti di grasso suino.
Inneggiando al tuo nome mi ringraziava ancora una volta della fortuna che ebbe quando tu la collocasti a lavorare nelle cucine e nelle lavanderie dell'ospedale. Lei era comunista e tu degasperiano.
Mi riconobbe finalmente, ed io constatai con mestizia che  dai quei tempi ad oggi, l'ospedale non esisteva più e la donna invecchiata e sfatta non avrebbe potuto più concedersi.
 
Eravamo il partito più gerontocratico. Adesso invece abbiamo una ministra-ombra per le politiche giovanili, alla quale non disdegnerei un colpetto ben indirizzato.
A tal proposito ti voglio ricordare che tua figlia, mia madre, ha preso parte alla manifestazione del PD nonostante gli acciacchi fisici e metafisici che contraddistinguono la classica lagnosità femminea, mentre i due maschietti vanno rieducati. Uno votava Udeur, ma lo faceva con placida ingenuità, si può salvare. L'altro indulge nell'immonda pratica di sostegno forzaitaliota.
Intervieni tu oniricamente, fa qualcosa! Visto che costui più di una quarantina di anni fa sguazzava incerto nel tuo liquido seminale.
Secondo me è sempre stata colpa di mia zia, che sarà pure una donna di qualità eccelsa quanto a strombazzature ormonali, ma l'encefalo spesso rappresentava  per lei un mero trasporto eccezionale nel suo piacevolissimo cranio.

A parte questo, tu sei nel regno della verità, in qualunque platonica dimensione sia confinata l'illusione di non sbriciolare del tutto le attese e le speranze della vita. Se volessi raccontarti la maniera del mio trastullo giornaliero non farei altro che tediarti con un canovaccio che tu hai già visto, e probabilmente giudicato.
Però ugualmente consentimi di rivederti dietro la tua scrivania. Alle tue spalle è appesa al muro una carta topografica larga e gialla. Tu batti con destrezza i tasti della vecchia olivetti che adesso è seppellita nel ripostiglio presso i borsoni da viaggio.
Facciamo finta che io avrei dovuto essere all'asilo, e quella mattina, come sempre, mi ero intenzionalmente cacato addosso per non dover spartire il mio tempo con altri spermatozoi che purtroppo avevano colto nel segno, germogliando poi in altri esseri umani.
Mi facevano ribrezzo in particolare quelli che si presentavano senza grembiule, e avevano perdite di muco dalle narici appestate.
Tu mi saresti venuto a prendere dopo la telefonata napoletana di quella megera della maestra, con la tua 500 bianca che puzzava di benzina e saltellava alle buche. Dopo il candeggio inferto al mio culo infantile e qualche inconcludente schiaffo materno, mi avresti portato con te.
E dalla sedia dove mi sedevo, ti guardo adesso e ti confido la mia vita nel suo valore attuale.

Sai nonno, ancora non riesco a capire perché cacchio non ci hai mai rivelato che quando zappavi e ti sollecitava la vescica, interrompevi l'agreste opera e pisciavi sangue anziché urina.
Quando in ospedale ti vidi qualche mese dopo, con quella sacca appesa all'inguine, all'idea che quel tubicino ti si infilasse dritto nell'uretere, mi veniva voglia di stipulare una polizza sul cazzo.

Lo zio milanese aveva una sua teoria. Secondo lui tu non ti sei mai ripreso dacchè nonna ci lasciò. Lo ricordo appena perchè non avevo nemmeno tre anni. Dicono che nonna fosse una donna di un carattere ostinato, un caratteraccio testardo e irremovibile. Pretendeva lei il controllo su tutto, decideva anche per le persone intorno, e sapeva come imporsi pur mantenendosi ad una discreta distanza dagli altri. A volte dava l'impressione di essere acida e presuntuosa. Tutti un po' si chiedevano come mai uno come te fosse così follemente rapito da questa persona.
Forse perché subentrano sollazzi dell'anima che non possono essere né spiegati, né compresi. Che non si sanno trasferire su altri volti ed altri intenti, che quando ti si appendono alle palle è un vero casino tranciarle via.
Ed io ora che cazzo faccio? Lo sai di cosa parlo.

Ho preso qualche bastonata professionale meritata. Leggo il Financial Times e provo a interpretare quello che succede. Tu che travedi il tempo, secondo te, in Italia rischiamo una crisi del debito? Sarebbe davvero un guaio.
Comunque volevo smettere di parlare, una volta tanto. Volevo guardarti ancora una volta, ammirarti. Vedere i capelli grigi staccarsi ad uno ad uno dalla chemioterapia, posarsi al suolo come petali al vento di novembre.
E tu, immobile, a nascondere il tuo male, a lavorare e ad esserci come un muro maestro che si distingueva dalla maggioranza, stantìa come un'anestesia.
Mi allacciavi le scarpe. Ed io uscivo la mattina di domenica per comprarti il giornale ed il tuo pacchetto di MS mild. Guardavi la foto di nonna, e l'amavi. Ed il dolore di non sentire più la sua voce, di non vederla vivere, di non sentirla respirare di notte ti scavava le rughe sulla fronte.
Bastavi a te stesso, come tutti dovremmo essere. Senza elemosinare dalla vita altrui le ragioni e l'orgoglio di stampare la scia del nostro passaggio nell'involontario soggiorno.
Essere fieri di aver sollevato il culo da quella poltrona posta nel salone della convivenza sociale, senza aver lasciato sedimentare troppa polvere dove riposavano le natiche assuefatte al mondo.
La noia era solo l'impressione di non aver fatto abbastanza.

Li sento quei tuoi colpi di tosse, con cui rimproveravi la tua solitudine. Li raccolgo dopo ogni boccata di Philip Morris che lascio disperdere nell'aria. Il fremito del silenzio e della distanza.
Parlare è bello ma sciocco, quando lo si fa per se stessi, ereticamente. Ogni parola scritta o sibilata è un ponte. Sai nonno, che cosa mi manca? Quando mi sentivo ascoltato davvero, quando il mio ponte approdava su un'isola. Un'isola abbastanza inacidita oggi, e talvolta marcatamente stupida; un'isola che mi faceva star bene, che mi irradiava col suo sorriso. Un'isola che non dovrebbe scrutare i miei segreti pensieri, che dovrei sforzarmi di non pensare qui presente, con lo sguardo sulle mie pagine.
Perché io devo scrivere per me soltanto. Come sempre.
Perché devo essere arrabbiato e distante. E non lasciare che lei confonda quel cazzo di ardore che dentro mi avvampa con la presunzione di avermi in pugno. Che mi si possa stritolare con la facilità con cui si potrebbero ritagliare gli inetti contorni di un uomo nella nebbia delle sue debolezze.
Forse è giunta l'ora che mi travesta da rimpianto, per aver constatato come mi si possa perdere così, con disarmante e depauperante tranquillità.
Nonno, ho un racconto incompiuto che non so come proseguire.
Ed è l'ostinata direzione che ho dato alla mia cieca speranza a frenarmi, oppure il risveglio di una cupida rabbia.
Ho avuto voglia di afferrare quella giumenta bruna che mi guardava stasera, e farle male fino a quando non mi fossi esaurito del tutto, fino allo stremo della resistenza al respiro.
Ho avuto voglia di far breccia nel silenzio, ma senza riuscire a collezionare qualche parola che non fosse banale.

Le rughe si scavano a guardare quelle foto. E lasciarsi bagnare dalla sensibilità che promana da un cuore che sanguina, come cantava Roger Waters. Una condanna speciale a vedere le cose nel loro opposto, e nella loro profondità. La condanna a non accontentarsi di facili perché.
Chissà come mi avresti visto tu, in una fredda notte.
Chissà come avresti stretto la mano alla persona che si intreccia nel sangue e nel profumo di questi pensieri miei immutati.
Avresti visto subito come è bella. Come avrebbe posto immediata coerenza e giustizia alle ragioni incomprensibili che la logica stana e condanna in tutto questo brodo nel mio inaspettabile maelstrom.
Sono certo che mi avresti sorriso.
Perché mantenere fede ad una promessa sacra come una vita a sè stante, vuol dire non rinunciarsi mai. Anche se questo vuol dire rispondere alle estreme conseguenze indotte dalla propria barbara natura di sconfinata fermezza.
Mai fermarsi, mai temere di guadare la distanza tra due isole, quando il ponte della parola sembra interrotto da una fitta coltre di imposta menzogna.

Ciao nonno. Grazie per aver tessuto il lenzuolo che riflette la luce del mondo e assorbe il sale dalla terra. Grazie se so odiare con coscienza e amare saldamente, unica maniera per fregar la morte.
Inciso: sono spaventosamente ed eccezionalmente originale da permettermi di citare ed emulare chi mi pare, senza muovermi in un piano di inferiorità.
Grazie per i libri e le bastonate, nonno, e le cicatrici sugli stinchi inferte dal rastrello gestito male.
Grazie se ancora sgonfio i bulbi oculari a prestare attenzione alla tua vita.
Per la purezza. La trasparenza. La colonna a cui accostarmi per recepire le tranvate.
Per il mio silenzio che assolve indelebile le bieche stronzate.

9


- Quel locale ieri scoppiava di gente. Lo detesto per questa ragione. Purtroppo è l'unica possibilità di trovare un talisker senza che ti rifilino un estratto di truciolato con la camomilla spacciandolo per scotch.

- Io no Alcor, io sono andato al cinema invece.

- Interessante. Hai visto quel film?

- Sì.

- Cazzarola, a saperlo sarei venuto anch'io. Com'è?

- La storia mi ha lasciato un po' di cazzo.

- Spiegati.

- In due parole. Ci stava uno che faceva il farmacista. Ad un certo punto la sua donna gli dice che con lui sta bene ma non lo ama. Così lo lascia e questo tizio se ne va in tilt. Dopo un po' di tempo ricomincia a spassarsela, e ne trova un'altra. Dopo un po' anche lui dice a questa donna che con lei sta bene ma non la ama, così la lascia; e pure questa se ne va in tilt. Perché lui in testa aveva ancora quell'altra di prima. E poi...

- Ok, basta così, ho capito. L'ho visto.

- Come "l'hai visto"?

- L'ho visto, fidati...

- Mah, e allora com'è che finisce? Sentiamo...

- Non mi frega un cazzo come finisce. Dammi una sigaretta, va'. Ognuno ha un suo finale.


sabato 1 novembre 2008

8








Ho ragioni per essere fottutamente incazzato.
E dimostrarlo avrebbe socialmente un senso.
Un mio amico è ritenuto scioccamente un coglione perché non si incazza,
accompagna la gente fuori dalla sua vita prendendola per mano.

Non ci si tratta così! Eh, no, cacchio! Non è giusto!
Ci si deve pur incazzare!
Sennò lo sciagurato genere umano potrebbe ritenere a torto che io non ci tenga.
Cazzate con cui si nutre la adulante epidermide umana.
Dimostrare in continuazione una verità vuol dire privarla della sua natura.

L'inflazione è una tassa sul futuro. Dopotutto.
Vogliamo inflazionare anche i reflussi tra le persone?
Scegliete mutui a tassi fissi, piuttosto.
Scegliete la vita.
Scegliete un bel paio di scarpe.
Le scarpe più belle sono anche comode, solo che rischiate di scivolare lungo le scale.
Senza lasciare intravedere piccoli pezzi di dita. 

Che settimane, gente...

YAWN

Tutto ciò è solamente, profondamente noioso, ed io ho voglia solo di divertirmi.
Non è una cosa seria, diceva il maestro.

 Lunga vita all'immateriale!
(Yves Klein)


Ebben? Ne andrò lontano,
Come va l'eco della pia campana,
Là, fra la neve bianca;
Là, fra le nubi d'or;
Laddóve la speranza, la speranza
È rimpianto, è rimpianto, è dolor!




7


- Alcor, e adesso, che cosa stai facendo?

-
Sto lavorando duro per preparare il mio prossimo errore.

venerdì 10 ottobre 2008

L'importanza di essere onesto

- Alcor, non si può più andare avanti così…

- Hai assolutamente ragione Miche’, non si può proprio…

- Se le cose non cambiano, resteremo sempre a questo punto, e gli altri continueranno a farsi i cazzi loro come vogliono…

- Eh, "il mondo è della gente disonesta", così si dice; però, orsù, diciamocelo  che è pure un po’ colpa nostra se le cose vanno sempre a cazzo…

- Ma è ovvio, Alcor! Allora perché mi lamento? Sicuramente è colpa nostra! Siamo poco intraprendenti, poco coraggiosi, bisogna essere più determinati, più radicali!

- Eh sì, il buonismo non paga, lo dico sempre io! Ci si beccano mandrie di rinoceronti dritti nel posteriore… Qualche volta bisognerebbe saper menare mazzate…

- Come dici? Ma stai diventando violento? Non ti si riconosce più… eri uno molto pacato…

- …no, niente. Però dati gli esiti… ci si stufa un po’…

- Già, Alcor, ti capisco, un po’ alla fine ti devi incazzare! Sennò sembra che non te ne fotte proprio niente di ottenere qualcosa! E non si fa mica la guerra per perderla!

- Infatti. Comunque hai ragione. Bisogna tornare ad alzare la voce!

- Ma il fatto è che noi possiamo urlare quanto vogliamo, Alcor. Non ci ascoltano, non ci ascoltano…

- Eh, Miche’… a chi lo dici…

- Possiamo parlare, parlare, parlare… E scrivere! Possiamo scrivere qualsiasi cosa, dappertutto, riempire pagine e pagine, ma niente… Non ci prestano proprio ascolto….

- Non dirlo a me, Miche’….

- Sembra che più li rassicuri, più ti capita di dar loro una speranza, più sono diffidenti! Più sei sincero, più ti prendono per matto…

- Sì, sì… è proprio così, Miche’…


- Secondo me… (boccata di sigaretta) …è tutta colpa della televisione!

- Fammi fare un tiro… (boccata di sigaretta)ma è proprio che ormai siamo troppo assuefatti a gozzovigliare coi coglioni, e poi le persone non sanno più nemmeno parlare… Confondono le cose, non distinguono le parti. Baci, abbracci così gratuiti, senza significato, fiducie malriposte, illusioni dilaganti, sorrisi inneggianti, terre promesse che non esistono…

- Ma è colpa della televisione, Alcor, te l’ho detto…

- Ma no, è che nessuno bada decentemente ai cazzi suoi. C’è un insano egoismo: badano tutti alle false apparenze, al dover dar conto agli altri pure per essere felici, Miche’….

- Ma poi ti rendi conto? I nostri cari amici, ne vogliamo parlare? Nessuno ti aiuta, nessuno si fa carico di questa situazione deprimente… tutti senza stimoli, senza motivazioni…

- Ho capito, Miche’, però come diavolo pensi che ti possano aiutare quelli? Ognuno se la gioca da solo questa competizione…

- Eh lo so, qua s’è diffusa ‘sta storia che dobbiamo andare sempre da soli… Ma stando soli non si ottiene nulla, lo capisci Alcor? Diventiamo solo dei miseri nombrilisti.

- Eh, perché in compagnia che cazzo hai ottenuto finora? E poi anche gli altri hanno i loro inconvenienti, lascia perdere…

- Forse hai ragione tu, Alcor…

- Togli il forse…

- Ma tu come la vedi la situazione?

- Io? Vado avanti, faccio quello che posso…

- Già, beato te che hai questo ottimismo, Alcor. Io sono spesso tentato di passare dall’altra parte…

- Dall’altra parte???

- Sì…

- Ma sei impazzito, Miche’?

- Lo so, sarebbe imperdonabile da parte mia…

- Be’ imperdonabile no, bisogna avere sempre rispetto… però non puoi essere così drastico, che cazzo!

- Non riesco a mantenere la tua stessa coerenza, Alcor, lo sai. Io sono debole di carattere…

- Ma che cazzo c’entra la coerenza? Non è che si cambia così, per scelta, a seconda di come ci si sveglia la mattina! Io sono così, perché sono, non perché lo stabilisco…

- Eh, quando uno le cose le sente dentro…

- E pure fuori Miche’, te lo garantisco…

- Ma il fatto è che ci manca una struttura, un’organizzazione fatta bene… ci manca tutto…

- L’organizzazione? La struttura? E che vuoi fa’ il bordello, vuoi fa’?

- Ma come cazzo ti muovi senza un apparato, Alcor, mi prendi in giro?

- No Miche’. Non ho capito, davvero, di che cazzo stai parlando!

- Ma come? Parlo di quello che ci manca, che ci serve!

- Eh, appunto…

- Quello che ci manca nel Partito Democratico…

- Partito Dem…Aaaaaaaaaaah… porca miseria…

- Ma scusa, Alcor, che avevi capito?

- Che stessimo discutendo di quello che manca…

- E cioè?

- La fica…

domenica 14 settembre 2008

C'è tempo





Dicono che c'è un tempo per seminare
e uno che hai voglia ad aspettare
un tempo sognato che viene di notte
e un altro di giorno teso
come un lino a sventolare.

C'è un tempo negato e uno segreto
un tempo distante che è roba degli altri
un momento che era meglio partire
e quella volta che noi due era meglio parlarci.

C'è un tempo perfetto per fare silenzio
guardare il passaggio del sole d'estate
e saper raccontare ai nostri bambini quando
è l'ora muta delle fate.

C'è un giorno che ci siamo perduti
come smarrire un anello in un prato
e c'era tutto un programma futuro
che non abbiamo avverato.

È tempo che sfugge, niente paura
che prima o poi ci riprende
perché c'è tempo, c'è tempo c'è tempo, c'è tempo
per questo mare infinito di gente.

Dio, è proprio tanto che piove
e da un anno non torno
da mezz'ora sono qui arruffato
dentro una sala d'aspetto
di un tram che non viene
non essere gelosa di me
della mia vita
non essere gelosa di me
non essere mai gelosa di me.

C'è un tempo d'aspetto come dicevo
qualcosa di buono che verrà
un attimo fotografato, dipinto, segnato
e quello dopo perduto via
senza nemmeno voler sapere come sarebbe stata
la sua fotografia.

C'è un tempo bellissimo tutto sudato
una stagione ribelle
l'istante in cui scocca l'unica freccia
che arriva alla volta celeste
e trafigge le stelle
è un giorno che tutta la gente
si tende la mano
è il medesimo istante per tutti
che sarà benedetto, io credo
da molto lontano
è il tempo che è finalmente
o quando ci si capisce

un tempo in cui mi vedrai
accanto a te nuovamente
mano alla mano
che buffi saremo
se non ci avranno nemmeno
avvisato.


Dicono che c'è un tempo per seminare
e uno più lungo per aspettare
io dico che c'era un tempo sognato
che bisognava sognare.

sabato 13 settembre 2008

Le pont

R. e Simone erano appena usciti dal quel frastornato locale all'Odeon. Simone rideva per un nonnulla, rendendo esemplari le cose più trascurabili del mondo, conferendo importanza a parole che altrimenti sarebbero state spente nell'oblio immediatamente dopo essere state pronunciate.

R. parlava un po' meno, e si fermava a contemplarle il volto ridente, felice, specchiando in quella spontaneità tutto quello che gli impediva di rinchiudersi una volta per tutte. Come il forte richiamo ad un isolamento che non era che una folle e debole attesa della sua polverosa estinzione.

Quando si attraversano certe cose c'è un'ombra dentro che non si dirada mai, che rende quasi vergognoso e sprecato l'esservi sopravvissuti.

Guardava Simone ridere contenta. Pensava a tante cose che si recava dentro con sé, annaffiando  tutto con quelle parole rimordenti che le aveva inutilmente detto. Per lei aveva fatto qualsiasi cosa. Come un pinball la vita li aveva fatti rimbalzare da un punto all'altro della forza del loro legame. Stretti e lontani, come un ventaglio che si allargava e poi si richiudeva senza che loro avessero mai potuto pronunciarsi.

E poi erano giunti, non si sa come, lì. In quella sera.

Intanto R. aveva deciso. Non avrebbe più scritto nulla da condividere col resto del mondo. Avrebbe covato dentro di sè, e per solo per sè, quel turbinio della vita nei prossimi brevi istanti.

Intanto Simone rideva, e non capiva. Intanto lui avrebbe voluto dirglierlo, ma non ci riusciva.
Intanto la scelta maturava. In un profondo spegnersi di tutti i suoni e nell'addormentarsi di tutte le voci.

La voleva accanto in quel momento. La strinse e la baciò con un fervore che sembrava affrettare qualche inspiegabile rincorsa dei giorni.

- Che hai R.?

- Nulla Simone...


E lei riprendeva a parlargli stringendogli il braccio in una maniera che se non fosse stata lei, gli avrebbe fatto male. Era quasi un trattenerlo lì. Un non volerlo lasciare libero.
Quasi che lei, quella parte di lei che ha sempre saputo tutto, stava comprendendo. Mescolando all'amore di non volerlo rinchiudere in una gabbia, quell'egoismo di trattenerlo forte accanto a sè.

R. non parlava ed era quasi impassibile.

Simone, ad un tratto, sembrò bloccarsi dal piangere.

Si affacciavano stretti da quel ponte tanto caro a Simone.

R. le accarezzava i capelli. E non l'amò mai così assordantemente come in quel momento.

Le accarezzò il volto, come avrebbe voluto fare tutto quelle volte che lei rifiutava ogni contatto.

- Hai un profilo splendido, Simone, quando alzi il viso e guardi verso il cielo. Fammelo ammirare un po'...

Le piegò il viso con le sue carezze, incontrando con le dita le diradate lacrime di lei. Lei gli sorrise, senza capire.

R. le fece scivolare sul mento le dita della mano,  con l'attrito di chi, quella donna l'avrebbe portata sempre con sè, aprendole tutto il mondo profondo che egli si portava dentro.

- R. ...  - ripeteva Simone.
- Non mi saresti mai bastata come nutrimento per i sogni e come anima del mio scrivere.

Costui la lasciò con molle ed evidente fatica. E si gettò nel fiume.




Questa era letteratura, la notizia del giorno è che probabilmente non scriverò più in questo blog. Per la semplicissima ragione che mi sono rotto le palle. E come disse Stéphane Mallarmé, non esiste eredità letteraria, perciò al momento opportuno, cancellerò tutto.

Ti amo, Simone.

Grazie a tutti.

giovedì 11 settembre 2008

Contrasti e memorie

Trascorrere mezza serata di fronte ad un personaggio.
L'altra mezza serata al telefono con la persona in carne ed ossa.
Che vento, che bel rumore.

C'è qualcosa che non funziona correttamente.

Sette anni fa, mi svegliai presto. Una mattina come tante perché mi sentivo piuttosto triste. Ed avevo ben ragione di esserlo, perché quel giorno sarebbe cambiato il mondo (sciocchezze, il mondo era già cambiato, le solite definizioni da politica da bar). Il mio mondo sarebbe cambiato.
Quella mattina mi iscrivevo all'università, mi immatricolavo, dopo mesi di lotta furibonda, scioperi, manifestazioni, occupazione del cesso, volantinaggio presso il parentado, dichiarazione di prigionia politica, tentativi di convincere la famiglia che io fossi un buono a nulla. E come tale meglio se destinato a non fare un cazzo, se non ad arrovellarmi  in cervellotiche macchinazioni nichiliste.
Magari tentare la botta di culo e sperare di prestare una simile, e pressoché inutile, mansione  lungo il tragitto di sviluppo dell'umanità ricavandone un tozzo di pane, un bicchiere d'acqua, un letto, un cesso, un libro, e una caterva di sogni da non realizzare.

Piccola parentesi: stanotte ho fatto un sogno di merda, mi sono svegliato odioso e col mal di testa. Nonostante tutto, pulcherrima, mi scoppia il tuo viso nel cervello, come una bottiglia di birra dimenticata nel congelatore.  Non che io ti possa dimenticare, intendiamoci. Chissà a che età si potrebbe accostare una similitudine del genere... chiusa parentesi.

E se penso che un mio amico parrucchiere riesce a fatturare oltre tremila euro al mese, sono sicuro di aver fatto una grande cazzata quella mattina.

La cultura non vi renderà mai persone migliori, fidatevi.
Perché in questa realtà imbevuta nel relativismo come un maxi assorbente, aiutatemi a capire, di grazia, che cosa vuol dire essere persone migliori?
Avere una elevata considerazione di se stessi? No, è impossibile, l'egoismo non basta.
Io ricorro a Darwin, sempre. Ogni essere vivente è una monade appartenente ad un corpus più generale: la specie. Più egli contribuisce alla procreazione della specie, più egli ottempera all'unica cosa per la quale esiste.
Sarà un caso che l'orgasmo è la punta massima di piacere sperimentabile? La competitività sociale e il successo economico sono espedienti inconsci che l'uomo persegue per garantirsi quanti più orgasmi possibili.
Pertanto, sprecare neuroni per scrivere codeste attuali stronzate, e poter citare il pensiero e le gesta di uomini grandiosi, a che cazzo serve?
Serve a complicarsi la vita punto e basta. Non garantisce più orgasmi di quanti se ne assicuri un deficiente qualunque, di quelli che non sanno leggere né scrivere, né parlare, né pensare.
 
Succede che diventi adulato da tutti, grande oratore e bella presenza. Atteggiamento schivo e reticente. Magari ci si diletta pure a scrivere cazzatelle sparse nei ritagli di tempo, uno dei pochi contatti di umanità che ci si consente senza timore di contaminarsi.
Il successo è dei coglioni. Quelli che la fanno facile perché oltre non possono andare, e non ingenerano sciocche responsabilità nei pensieri altrui.

Tanto valeva beccarsi i soldi, almeno.

Quella mattina era coerente col mio intrinseco, quasi calvinista, destino di condanna.
La tecnologia sarà pure ininfluente nel condizionare la felicità umana, ma se mi fosse venuta incontro quel giorno, come le analoghe mattine di settembre dei restanti quattro anni, a farmi evitare una fila di cinquecento persone allo sportello della segreteria, forse, non avrei sollevato la mia anima dal costante richiamo del suicidio, ma presumibilmente un sorrisetto di pacata soddisfazione me l'avrebbe indotto.

Soprattutto quando giunge il sospirato turno e ti appresti ad affrontare la megera armata di timbro e spillatrice, che ti scruta in maniera torva per scandagliare i lineamenti che il caldo torrido scioglieva sulla mia faccia, che progressivamente assomigliava sempre meno all'ineluttabile e impassibile individuo che riempiva la fototessera allegata alla triste domanda.

Ti accorgi di aver dimenticato quella cazzo di marca da bollo da ventimilalire, e devi ripartire dal via, per aver pescato la carta errata dal mazzetto non degli "imprevisti", ma del "com'era prevedibile stronzo".
Per concludere, la macchina tamponata, perché il danno doveva essere perfetto.

Apro una parentesi: pulcherrima, io muoio dalla voglia di vederti, eh, cazzo... chiudo parentesi.

Torno a casa distrutto e convinto di aver fatto la scelta peggiore della mia vita. Dopo un po' mi fidanzai con la persona sbagliata, e questa scelta finì al secondo posto nella bad parade. Poi iniziai il dottorato e questa scelta scivolò al terzo posto. E lì permane, per fortuna. 

Mi concedo al letto. Canticchiando parasimpaticamente
svegliatemi quando finisce settembre. E invece no. Ad un certo punto si ascoltano delle urla licantropiche che lo stato di sospensione para-vitale lentamente mi fa riconoscere come generate dalle corde vocali paterne.
Comincio ad armarmi il palato di invereconde bestemmie, nonostante non avessi inteso l'oggetto del delirio genitoriale.
Percorrendo il corridoio come fosse stato il miglio verde, cominciavo a distinguere tra quei tonfi latrati delle parole sputacchiate in un italiano medio e senza pretese: "la guerra, la guerra!!!.

E con le stalattiti agli occhi, mi sedetti sul divano davanti la televisione nel momento in cui crollava la prima torre. Ricordo che cambiai espressione sul mio viso, e riuscii a muovere una minima falangetta soltanto il giorno dopo. Si muoveva soltanto l'indice della mano destra, di tanto in tanto, per saltare da un canale all'altro tra i vari programmi televisivi.

Non mi abbandonerò mai, qui dentro, in considerazioni storico-politiche. Perché non me ne è mai importato nulla, in verità, se gli aerei fossero stati dirottati dagli scagnozzi di Al-Qaeda, o se gli americani stessi c'entrassero qualcosa. Questi discorsi hanno accompagnato sempre e soltanto discussioni disgustose esternate indecorosamente tra le sputacchie e i sedimenti di una bevuta da baretto intossicato.
Perché nel tritacarne ci stiamo dentro un po' tutti, in un modo o nell'altro.

Volevo entrare nella mente di chi si gettava dai grattacieli per non finire carbonizzato, provare il tetro sfizio di volare, sapendo che da lì a poco di lui sarebbe rimasto un fotogramma impersonale da magazine gossipparo socio-politico. Volevo entrare nei pensieri palpabili degli inconsapevoli che all'improvviso si son trovati a dover fare i conti con la morte imminente che ne avrebbe azzerato le vite, e che loro sentivano avvicinarsi lesta e insaziabile.
A coloro che non hanno fatto in tempo a chiedere scusa per i conti lasciati in sospeso. A coloro che mandavano un sms alla persona che amavano, incondizionatamente, sapendo che non l'avrebbero più rivista, sperando di sopravvivere in un ricordo non loro.
A tutte quelle parole che non si sono potute raccontare, alla vita che non si è potuto condividere, alle occasioni buttate nel cesso di un aereo che cadeva per i capricci di qualche coglione.
Coglioni di quelli che non hanno cultura, e hanno avuto il loro successo di metastasi universali.

Volevo entrare nella mente di una persona che muore. Per capire cosa vuol dire rinunciare per sempre ai propri desideri, alla propria speranza, ai ricordi, ai sentimenti, alla vanità delle proprie sofferenze e delle proprie rinunce.
Alle stronzate che quotidianamente sperperiamo, e alla felicità che sciaguratamente rinneghiamo per motivazioni ridicole e miserabili.
Perché al di là di ogni percorso, quell'attimo consapevole prima della fine, è probabilmente l'unico attimo in cui si è davvero persone migliori. Quando si ha la lucidità di confrontarsi col nulla più cruento, quello che cancellerà senza pentirsi ogni traccia dell'infinito che abbiamo conservato dentro.

Quel giorno la morte, quella mite e silenziosa, si trasformò in un circo con cui infestare il mondo di barbarie e paura. Un palcoscenico con cui si è voluto ammazzare anche la coscienza dei sopravvissuti.

Ed io mi vergogno, profondamente.
E non rinuncerò mai ad espandere la mia vita. Pur nella spasmodica attesa del mio attimo di persona migliore.

Simone de Beauvoir, quando morì Sartre disse: "
Sa mort nous sépare. Ma mort ne nous réunira pas. C'est ainsi; il est déjà beau que nos vies aient pu si longtemps s'accorder".

Chiusa un'altra parentesi, che ho aperto senza volerlo, confidando nell'intelligenza altrui.

martedì 9 settembre 2008

Ma c'è una poesia che proprio...


"...E vestitele bene le poesie! Cercate bene le parole! Dovete sceglierle! A volte ci vogliono 8 mesi per trovare una parola! Sceglietele, che la bellezza è cominciata quando qualcuno ha cominciato a scegliere! Da Adamo ed Eva: lo sapete Eva quanto c'ha messo prima di scegliere la foglia di fico giusta? Come mi sta questa, come mi sta questa, come mi sta questa... Ha spogliato tutti i fichi del paradiso terrestre! Innammoratevi! Se non vi innammorate è tutto morto! Morto, tutto è... Vi dovete innammorare e diventa tutto vivo, si muove tutto, dilapidate la gioia! Sperperate l'allegria! Siate tristi e taciturni con esuberanza! Fate soffiare in faccia alla gente la felicità! E come si fa? Dovete patire, stare male, soffrire, non abbiate paura a soffrire, tutto il mondo soffre! Eh?..."

Certe volte mi chiedo dov'è la felicità.
Oggi la felicità è stata una telefonata mentre stavo sminuzzando le mie zucchine bollite. Una telefonata mediante la quale mi si chiedeva quale fosse l'astro vicino la luna crescente.
Non poteva che essere Giove.

E poi, impelagarmi in monologhi in cui mi lascio per strada i condizionali.

Provare a strangolare la gente è una cosa piacevole, tra l'altro.

Phantom




Ma è sempre nella realtà concreta e modificabile che ho creduto.

Non ho trascorso notti bianche in compagnia di Dostoevskij.
Nasten'ka non c'era.

Là fuori c'è una bella giornata, c'è il sole. Potresti andare al mare.

- Perchè?

C'è, eppure senti asciugare l'umido, senti riscaldarsi i muri e gonfiarsi i cuscini, e più trascorrono le ore più le ombre si ritirano.

- Perchè?

Lo senti, sai che c'è, accidenti. La mattina ancora non ha invaso la strada.

- Non capisco.

Devi solo raggiungere il ciglio di quella finestra e lo vedi. Potresti addirittura uscire, andare al mare. Vai al mare.

- Non riesco ad alzarmi.

Posso fare in modo che sia più luce, se vuoi. Se non credi che ci possa essere il sole, non potrai mai sperare di sorridergli.

Mi girava la testa, c'era un buono odore di spezie, e le candele sostituivano la corrente elettrica non ancora allacciata. Diverse scatole ammassate al centro rendevano quella stanza più piccola di quanto non lo fosse stata. Davanti al vetro della porta erano stati incollati dei pannelli di carta bianca per isolare ulteriormente quell'ambiente. Ma la porta era aperta per concentire che la luce della strada e il vento potessero sedersi su quei divani sfondati e polverosi.
Una tizia provava ad appendere una lucertola di legno ad una parete, mentre io giocavo con l'arco, senza frecce, tirando quella corda e piegando il legno curvo.
Si sentiva tossire.
Acari fluttuanti.
Sedeva a quella poltrone con le magrissime gambe accavallate, in una posa congeniale e abitudinaria. Le dita scheletriche sembravano operare con chirugica attitudine. Mentre lo sguardo incavato si perdeva nell'ombra di lampadine spente e guaste.
Quell'altra rideva, il cugino tossiva.

 - Vuoi?

 - Sì. Grazie.

 - Macché grazie, imbecille... Sei uno stronzo del cazzo. Capiti dalle mie parti e non ti fai sentire, la prossima volta vaffanculo.

 - Non ero solo. E poi ci sono stato per pochissimo tempo.

 - Com'è?

 - Buona.

 - Sei soddisfatto, Alcor?

 - Quando parti per Berlino?

 - Tra qualche giorno. Ma prima torno a casa, là. Sei soddisfatto, Alcor?

 - Mettetici un ventilatore qua dentro. Si crepa.

 - Sei soddisfatto, Alcor?

 -
Verrò a trovarti, potrebbe capitare che passerò da quelle parti crucche.

 - Ti aspetto.  

lunedì 8 settembre 2008

Monday bloody monday



Non va.
Non va proprio.






- Noodles, cosa hai fatto in tutti questi anni?

- Sono andato a letto presto.


domenica 7 settembre 2008

La famigghia

Le uniche occasioni in cui è facile incontrare individui cromosomicamente affini, generati da progenitori  e trisavoli come minimi comuni multipli, sono i matrimoni e i funerali.
Entrambi pessimi appuntamenti.

I primi non sono gratuiti, ed i secondi sono patetici.
Lo so, sto bestemmiando, sono blasfemo. Ma io i funerali li odio, odio i cerimoniali, i riti, le canoniche beffe con cui quasi ci si burla  del dolore di chi subisce le perdite.
Un dignitoso silenzio che preserva  la memoria e la compartecipazione al dolore dei congiunti, sarebbe più onorevole.

Invece dilagano l'indifferenza e la strafottenza che si carnevalizzano in forme di rispetto che crepano dopo tre secondi di fronte all'inesorabile realtà.
Sindaco di merda del mio paese, che giungi abbronzato al termine della cerimonia per ingiungere quasi minacciosamente il tuo cordolente saluto alla vedova afflitta, pur sapendo che il defunto ti portava sul cazzo e tu contraccambiavi, perché non sei rimasto affanculo?

Fossi stato io il morto, o il vedovo, o l'orfano, gli avrei sputato l'incenso in faccia.

Io ai funerali ci vado per zittire mia madre e la sua lagna. Perché un domani potrebbero servirmi i voti di preferenza degli astanti, e perché fa sempre cinicamente comodo mantenere la veste sociale di bravo guaglione rispettoso.



E li ritrovi tutti lì, coagulati in piccoli gruppetti più o meno corrispondenti ai clan  coinvolti nelle faide interfamiliari cagionate dalle più nobili ragioni: eredità, litigi, spartizioni ineguali dei corredi tra le figlie femmine, la lotta all'ultimo appezzamento patrimoniale ridotto a sottobosco di sterpaglia che nessuno andrà mai a zappare, lo stipendio alla badante di mammà, i turni per il clistere alla nonna, il recipiente per le olive che mi hai fregato a tradimento mentre io con tanto buon cuore ti omaggiavo con cestini di gelsi e pere "recchiafals".

C'è  chi è stato  capace di rovinare bucoliche rimpatriate di cugini di svariato grado, a base di carne arrosto, per divergenze inconsulte sulla formula magica dello cherry. Roba che nemmeno la Coca Cola Corporation avrebbe difeso così strenuamente dai possibili tentativi di contraffazione.

Cerco di passare il più possibile inosservato ai più, a quelli che risiedono in altri comuni e del cui voto non mi frega niente, e a quelli che ritengo oramai bigottamente di destra, di cui potrei schifare persino una  socialista conversione lungo la via di Damasco. O di Treviri, così mi sento meno apostata.

Mi soffermo volentieri con i parenti che risiedono molto lontano, ad esempio, Roma. Perché un alloggio per l'evenienza farebbe sempre comodo, ma non solo. Non sono così malvagio dal non prendere in considerazione la vaga idea di voler bene a qualcuno di essi, e di nutrire una frizzante simpatia per i giovani rampolli , e coetanee cugine, del ceppo espatriato.

- Ma guarda un po' Alcor come ti sei fatto omo! Quanti anni hai adesso? 29 - 30?

- 26, arrotondando per eccesso.

- Accidenti, non ci vediamo da 13 anni...

- Eh già! Come stanno tuo marito XXXXX, e i piccoli YYYYY e ZZZZZ?

[da notare come l'essere malvagio che rigetta il mondo, cioè io, si ricordasse  tutti i nomi di persone mai viste se non in fotografia, e mai conosciute, e di una prole sempre in via di accrescimento delle proprie unità. Mentre la mia età è ogni volta stabilita mediante quotazioni e oscillazioni dei titoli indicizzati in qualche borsa. E poi io sarei
il cerbero, e gli altri i civili ossequiosi di questo cazzo, ma vabbe'...]

- Stanno bene, grazie, Alcor. Be' che ci racconti, sei fidanzato?

- No, ho smesso. Ora fumo il toscanello.

- Ah... ma tu studi ancora, vero? O no, cosa fai?

- Ora faccio il dottorato.

- Ah! Bello! E... che vuol dire concretamente?

- Faccio ricerca all'università.

[un lievissimo moto di orgoglio invade la mia faccia quando mi  compiaccio di un'attività che mi garba assai]

- Ah! Capisco... Va bene dai, non mollare, vedrai che qualcosa la trovi prima o poi...

- Ma vedi che io sono contento...

- ...ma sì, sei in gamba, alla fine ti sistemi anche tu...

- Ma io scrivo rapporti, viaggio, mi pagano...

- ...anzi, perchè non provi a mandare il CV a quella multinazionale dell'energia?

- Ma veramente io lavoro già!!!

- Comunque, su, non ti abbattere, non demoralizzarti!!! Ti aspettiamo, eh. Vieni a trovarci a Roma. Speriamo di non incontrarci sempre e solo in queste tristi occasioni. Ciao Alcor!!!

Che io non debba demoralizzarmi, va bene. Per tutto il resto, a Roma ci vengo. Ma voi potete andare tranquillamente a cacare, e non cagare, perchè non siete di Milano.

E speriamo di incontrarci un par de balle. (Anche perché ho saputo pure che hanno votato per Alemanno...)
Sciò.

venerdì 5 settembre 2008

Giove


Sbrigati Alcor, il popolo scalpita. Ha ansia di leggere. Un'ambulanza verrà a prenderti, una piccola puntura e potrai presenziare allo show.
Ok, solo un piccolo pizzicotto che trapasserà la cute. Non fa male, stai solo regredendo.

Eccomi finalmente a voi, effetti collaterali delle mie spongiformi secrezioni di stronzate.

Per ora, pertanto, rimando il suicidio e organizzo un gruppo di studio: le masse, la lotta di classe, i testi gramsciani. Le masturbazioni cerebrali le lascio a chi è maturo al punto giusto, le mie canzoni voglio raccontarle a chi sa masturbarsi per il gusto.

Mi addormento mentre scrivo. Mi assale il rimorso delle ore perse, e la gelosia di pensieri che non oso condividere in aperta coscienza.

Sono le 15.00 o'clock di venerdì 5 settembre 2008. C'è un lucido vento di scirocco, che sbatte risalendo lo ionio dal versante più sporco.
Un sole centrifugato si scioglie scolando sul mio cortile e facendo zampillare fotoni posticci che oltrepassano la zanzariera della mia finestra.
L'umidità oltrepassa il 50%.
La mia urina è trasparente e pura come acqua sorgiva. Mentre piscio assomiglio ad un cherubino pisciante di una fontana del Bernini.
La partita a biliardo nel bar  è terminata prima del solito, e i concorrenti sono già accomodati altrove, chi ai tavoli misti da tressette e ramino, chi alle macchinette del videopoker.

Il pranzo sociale servito nel tinello prevedeva spaghetti in bianco con i tipici mitili del luogo (cozze), e succulenta bistecca ai ferri.
Nel mio solingo piatto eversivo, invece, una sdegnata faccia di madre svuotava biecamente mestoli di minestra di riso integrale con zucchine e carote. Accompagnava i mesti moti del suo polso con un'espressione di sdegno, rivolti al primogenito, vile prodotto del suo utero.
La vedova del secondo piano conduceva esperimenti nuovi sulla pressione materiale in onore di Evangelista Torricelli, passeggiando scalza e obesa, cagionando bradisismi e perturbando i calcinacci.

Il telefono non squilla, il disordine nella stanza lievita come una focaccina oberata da etilici fermenti di natura animale, vegetale e virale.
Gli amichetti lucignoli, irriducibili spiaggiofili, non si sono fatti sentire.
Il portafoglio è pieno di appunti, non vi sono più banconote, il taschino interno preserva un residuale capitale metallico per un ammontare pari a 4,50 euro, e dischetti in rame da 1 - 2 - 5 eurocent.
 
"Non stiamo facendo nulla, la destra si sta vendendo l'Italia, loro fanno quello che vogliono". Ma che cosa sono questi discorsi da autobus? Come siamo diventati prevedibili...
La luna è crescente. La costellazione del Toro a mezzanotte è già visibile ad est. Tra Cassiopea e Andromeda, preferisco Cassiopea, del resto, Il Laureato è uno dei miei film preferiti. Ok, questa è un po' complicata da intendere, ma chi se ne frega.
Obama è 10 punti avanti. La Roma è già 2 punti indietro.
La settimana più critica per le borse mondiali degli ultimi cinque anni, è questa. Gente non investite che butta male, e tra un po' si rialzano i tassi di interesse. Tenete i soldi al calduccio, farete del male al sistema ma parerete il vostro culetto. Homo homini lupus. Stagflazione, signori, è un dramma.
I punti delle mie cicatrici sono: 3 sulla fronte, 4 sul torace, 3 sulla schiena; 1 che mi trapassa l'anima da parte a parte.
I numeri odierni della mia pressione arteriosa sono: 60 la minima, 120 la massima, praticamente perfetto. Ma non mi sento mica tanto bene.
Vedo una macchiolina nuova sulla pupilla sinistra, sarà mica un retaggio? Non me ne importa. In fondo mi sento benissimo.

La mia agenda segnala tre partite di calcetto da disertare, il ritorno in ufficio, il metadone politico, la laurea di un mio amico nella città rossa che non vedo l'ora che giunga presto, per occulti motivi; la necessità di comprare un paio di stivali marlboro classic, una nuova fascia per la chitarra, un set di corde fender nuove, qualche MI cantino in più, un'armonica cromatica.
Voglio spaccare la faccia a qualcuno. Chi porge l'altra guancia? Lo specchio, forse, potrebbe suggerire il giusto.
Oh, nessuna coscienza è pulita davanti uno specchio...
Venite pure avanti poeti sgangherati, inutili cantanti di giorni sciagurati, buffoni che campate di versi senza forza, avrete soldi e gloria ma non avete scorza.

Dal mio pc promana la voce di Morrissey.
Sono in perenne attesa che giunga il tramonto. Sono io, e respiro. E sono innamorato. Mi innamoravo di tutto, di una sola persona.

Mi riesce estremamente complicato venire a capo di un discorso coerente. Mi ritrovo improvvisamente a fare i conti col ciarpame della soffitta, qualora volessimo euristicamente utilizzare una visione
palazzinara della vita umana.
Conseguenza è che non riesco a scrivere, poco male se fosse solo un problema di scrittura. Sogno e agogno il giorno in cui riuscirò a disintossicarmi da questa inchiostro/pixel-mania, e potrò finalmente relegare alle ortiche questo blog, e tutte le piattaforme più o meno reali dove scialacquo inopinatamente il mio prodigo tempo.
Anziché zittire, lusso che mi nego.

Manca l'acqua per via dei lavori al palazzo, eppure ho l'impellente necessità di accomodarmi sul medesimo sito in porcellana bianca dove la leggenda narra che Freddie Mercury abbia concepito  Crazy little thing called love.
Pertanto mi vedo costretto ad emigrare frettolosamente in un alloggio parentale con integerrime infrastrutture idrauliche.
C'è chi emigra per star bene, chi per brain drain. C'è chi emigra per la guerra, chi per la fame, chi per lavoro, chi per amore, chi per sfizio, chi perché si è rotto semplicemente il cazzo di stare nello stesso posto; c'è chi ama la zia, chi  va a Porta Pia, chi è morto di sfiga o di gelosia.
Così in un pomeriggio di inizio settembre
emigrai, per scrivere cazzate seduto sul cesso.

Per mettere ordine. E intercettare queste mirabolanti buone prassi per cambiare registro. E imparare a parlare.

Regrediamo, orsù, evocando mementi mentre facevo scivolare  le ore in riva ad un lago. Mi è rimasta qualche equazione matematica, un paio di promesse, un paio di contatti skype, una sbronza con due francesi in piena notte e un visino dolce, un po' emiliano e un po' marchigiano, a cui mi son deciso di rivolgere la parola troppo tardi, nonostante fosse l'unico volto che rispondeva ai miei sorrisi quando incrociavo gente lungo le scale della residenza repubblichina.
Ma non mi importava, se non per testare la mia vanità.

Il curriculum vitae si gonfia. Il turgore dei miei coglioni si svilisce sconcertato.

Regrediamo, orsù, alla pagina che apro davanti ai miei occhi una domenica tardo pomeridiana. Il pomeriggio durante il quale ho maggiormente odiato il tempo in vita mia.
Ma la mente mi autorizza a credere che una storia mia, positiva o no, è qualcosa che sta dentro la realtà.
Dovevo fare compagnia ad una borsa, mentre guardavo, guardavo, guardavo come non mi sarei mai stancato di fare, anche se è durata solo per qualche minuto.
Ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora, ed io non mi nascondo sotto la tua dimora.
Un po' sporca la gente intorno. Una monoporzione di sacher, ordinata nonostante il menu recava la pessima dicitura "saker", che da sola sarebbe valsa il gesto di alzarsi e andarsene.
Ma non potevo perdere tempo.
Talmente non potevo perdere tempo che mi stavo pisciando addosso.
Direte forse: ma, Alcor, tu urini sempiternamente? Provate a ingozzarvi di frutta e acqua in continuazione, e vediamo se non vi si diluisce pure la cazzimma, per chi ne è sano portatore.
Sono talmente diluito che mi sono scoperto geloso, e mi sono scoperto a consigliare alla gente di provare ad avere un po' di fiducia per il mondo.
Altro che mollusco, qui trascendiamo ampiamente nel regno dei protisti.

Ma la ragione è semplice. Io odio tutte le cristallizzazioni alla Durkheim, le istituzioni, i precetti. Il male che diventa una moda senza contenuti, il bene che lo incalza e lo imita come un pupo sordo e muto, la misantropia concava elevata a maschera di ossigeno per chi teme di contaminarsi. Essere diversi è un lento trascinarsi verso il nulla, forse, ma è un continuo peregrinare tra gli stati dell'anima. Spinti dal dubbio, e dalla voglia di non assomigliare a nulla, o quanto meno, a non sprofondare così irrimediabilmente dentro corazze di latta che arrugginiscono la moltitudine di possibilità.
Che cazzo ho detto? Non lo so. Il guaio è che non suona nemmeno tanto bene.
Lo cancello? No, non mi va, non mi rileggo io, non leggete voi. O fate il vostro comodo.

E poi sopraggiunge finalmente la voglia di mettere fine alla verginità delle mie pagine: e scrivo, finalmente sul primo imbelle foglio: "Non riesco a parlare, cazzo".
Guardalo lì che scrive. Questo il massimo della mia produzione negli ultimi 15 giorni.

Il resto, per quanto poco che sia, è mio.
Una puntata canonica di una vita normale. A tratti psicotica, a tratti illuminata. A tratti silenziosa e schiva come un saluto senza strascichi esterni, solo  con qualche carsico diluvio dell'anima, costipato laddove non dà fastidio, dove non nuoce, dove non urta.
Dove non corre il rischio di essere giudicato.

Della tratta ferroviaria adriatica odio il tragitto che si approssima verso casa. Appiana ogni sbalzo e rientranza litoranea come un noiosa linea retta che si svolge a guisa di lenzuolo. Troppa pianura, troppo banale. Troppo mal di testa per raccontarmi, e ibernare quello che ho portato via con me, anche stavolta.
La sensazione di non sapere dove diavolo sarei stato il giorno dopo tanto per cominciare. Le passeggiate solitarie all'alba in riva al lago. Quella cameriera maiala che mi forniva birre clandestine, le cene tra colleghi durante le quali prima intrattenevo la platea illustrando il processo che conduce alla produzione della mozzarella, e poi spiegavo loro quanto facesse bene alla salute non mangiarla.
Un sorriso salentino a tratti antipatico, a tratti maleodorantemente alto borghese, a tratti un po' "troia solo con chi dico io e non con voi miseri mortali", a tratti l'ho perdonata poi per quella sua espressione svampita e sciocca, allorquando mi ha servito riempendo il mio piatto di vitel tonné.

Guarda quello là, è Giove. Ma non gliene fregava un cazzo a nessuno. Piccola, unica, nota di tristezza e alienazione.
E poi ritrovarsi in una città dove gli autobus funzionano, c'è un'umidità pazzesca capace di nutrire zanzare-godzilla che anziché le semplici punturine ti infilzano il cuore trapassando lo sterno  in stile Pulp Fiction.
Attendevo il caschetto biondo che venisse a prelevarmi, e lo intravidi nei pressi di un braccio agitato in aria per catturare la mia sopente attenzione. Stivali scamosciati e cosce in evidenza, ma eri proprio tu? Possibile che eri tu colei che io avevo visto crescere? Dimenticavo, sei fatta grande, ed io sono vecchio, baby.

Devo ringraziarti io stavolta. Ma l'ho già fatto durante i miei silenzi, mentre dormivi e tremavi. O forse ero io a tremare, con il letto ikea che non reggeva il peso dei miei pensieri? Per l'esponenziale impennata della sideremia dovuta all'invasione di bresaola nel mio stomaco, per essere stata presente al primo Oban della mia vita, che tenerezza; per aver presenziato al suicidio inopportuno della mia bellissima e compianta scarpa destra, un attimo prima aver deciso di risalire le torricelle, o come cazzo si chiamano.
Grazie per avermi preso le buste dello shopping, che la mia sbadataggine stava regalando ad un futuro avventore che avrebbe posato le sue terga laddove qualche minuto prima, insistevano le mie.
A raccontar di cantici.

- Giuse', ma tu l'hai letta tutta la Bibbia?

- Sì.

- ...

- ... Troppe letture, amica mia, troppe riflessioni, troppe meditazioni...

- ... e pochi Aperol Spritz...


Grazie per essere stata la cavia dei miei massaggi al collo, in quella sera  colma di attese. Per avermi dato l'opportunità di ridere a denti stretti di un deficiente piagnucolante nei momenti topici dell'esistenza; per aver sospirato forse anche più di me mentre ti parlavo dei miei desideri per quell'indomani che sembrava non volere arrivare, quando dovevo salutarti senza sapere dove diavolo sarei andato.
Grazie, per aver condiviso con me il disgusto per un sessantenne che derideva la moglie inetta mettendo le sue luride mani addosso ad una prostituente ventenne compiaciuta di insozzarsi.
Grazie di esserci stata tu, sennò lo trucidavo spietatamente.

Grazie per l'attesa di un taxi più bella e straziante che avrei mai potuto vivere. Grazie perché non so mai di poter meritare tali iperboli della coscienza, di fronte ai quali mi sono sempre sentito insignificante. Laddove comprendo che il dolore, per quanto aguzzo come uno spiedo rovente conficcato nella carne giovane, è un viatico sincero verso una persona migliore.
Un tragitto che mi è negato, per l'indifferenza con cui mi sono nutrito da sempre, per l'assuefazione  cronica all'idea di insostenibilità dell'essere che mi rende inaccessibile qualunque lacrima, un trauma, una scomparsa, un'asportazione di vita per la quale sarebbe giusto versare la propria salvifica disperazione.

Rinunciare alla propria felicità è il tradimento peggiore. Nulla lo giustifica, nemmeno l'amore immenso per le persone a cui teniamo, per le quali saremmo disposte a lasciare perduta ogni traccia di noi, delle nostre speranze. Accontentarsi non aiuterà mai chici circonda a scontare, con la propria serenità, il nostro sacrificio di quella pace alla quale ogni essere tende.
Se non siamo felici noi, non lo saranno mai nemmeno coloro che amiamo. Percio, mia cara, nonostante la cazzimma, sii felice e sorridi un po' di più, cazzo.

Parlare in generale, e per gli altri è semplice. Lo ammetto. Parlare per se stessi, è un'altra storia.

Ossequiante ai miei bisogni, mi aggiro per un po' nel parentale alloggio, meta del fisiologico pellegrinaggio
C'è un calendario con immagini neorealiste. Uno dei miei film preferiti è Il Sorpasso. Secondo le categorie kantiane del mio pensiero, e so che citando Kant faccio felice un amico, Gassman è il più grande in assoluto.
I giudizi universali non esistono, e pur tacitamente ragioniamo sempre ralativisticamente. Per fortuna.

Torno a casa. L'acqua è tornata. E mi incazzo.
Non volevo scrivere, ed avrei fatto meglio. Non seguo  l'ordine delle date e del tempo, però posso affermare con risolutezza che il giorno 4 settembre 2008, sono stato una persona felice.

Il giorno 5 settembre 2008 invece non tanto. Un uomo sa di dover morire, ma non se ne cura, vive e fa i cazzi suoi finché non suona la campana di Hemingway. Muore quando perde l'illusione di essere eterno.
Nessun uomo è perfetto, deo gratias, ragion per cui è inutile crucciarsi nel fare l'autopsia ai propri comportamenti e pensieri. Ma scoprirsi incoerente e vedersi fare stronzate è abbastanza urticante.
Così si scopre di essere stati, semplicemente, e abbastanza normalmente, un imbecille.
Non come tanti altri, sia ben chiaro.
Ma ai tuoi stessi, irreprensibili occhi, che non fanno sconti di pena.

Questo succede oggi. O era ieri? Non ha alcuna importanza.






Good times for a change
See, the luck I've had
Can make a good man
Turn bad

So please please please
Let me, let me, let me
Let me get what I want
This time

Haven't had a dream in a long time
See, the life I've had
Can make a good man bad

So for once in my life
Let me get what I want
Lord knows, it would be the first time
Lord knows, it would be the first time