domenica 30 settembre 2007

The Gunner's Dream



Scendono lentamente dalle nuvole
i pensieri che ora mi assalgono.
Nello spazio fra i cieli
e nell’angolo di qualche mondo straniero,
ho fatto un sogno.
Addio papà,
Addio mamma.
Dopo il rito, quando ritorni lentamente all’auto,
e l’argento dei suoi capelli
splende nell’aria fredda di novembre,
senti la campana che suona,
tocchi la seta del risvolto.
E mentre le lacrime cadono
per essere asciugate da quella musica,
le prendi la mano fragile,
e ti aggrappi ostinatamente al tuo sogno.
Un posto per vivere,
cibo a sufficienza,
un luogo dove i vecchi miti passeggiano tranquillamente,
dove puoi urlare ad alta voce
i dubbi e le paure,
e dove nessuno muore.
Dove non ti gettano sulla soglia il solito giornale di frasi fatte,
dove te ne stai tranquillo e beato,
e non ci sono maniaci che innescano
l’esplosivo nella mente dei musicisti.
Dove tutti godono della stessa legge.
E nessuno uccide più i bambini.
Notte dopo notte,
mi rigira nella mente,
quel suo sogno mi fa impazzire.

Nell’angolo di qualche mondo sconosciuto,
l’uomo con la pistola stanotte dorme.
Quel che è fatto è fatto.
Non possiamo cancellare le sue ultime parole.
Pensate bene al suo sogno.
Pensate



(Roger Waters)




Pink Floyd, The Gunner's Dream, The Final Cut- 1983


La suono a modo mio, la canto con la mia voce, la arpeggio con le mie dita, la sento io, la vivo, la sto scrivendo io, tra le sue parole c'è il mio respiro, ci sono io con il mio fiato, in questo giorno che non è ancora il mio momento, il momento di quel silenzio che sgombra, ancora persisto e sono ancora io.
Non voglio recidere il filo che mi tiene appeso al cielo sopra l'orizzonte, ma se mi addormentassi un attimo, se la mia veglia infinita si assopisse per prestar l'orecchio al gèmito che dentro mi scuote, e quel filo di zucchero si sciogliesse da solo, senza che io possa accorgermene... forse guarirei, forse tornerei a respirare, forse correrò di nuovo leggero come un cirro nel libeccio. Come una piuma che non è mai stata parte dell'ala di un gabbiano.
Forse però sarei solo una bottiglia vuota abbandonata nel mare, senza un messaggio.
C'è come un angelo nero che mi avvolge con le sue braccia, linde e morbide di giovane donna. Che mi fa ombra e mi concupisce la mente.  E' seducente nei suoi incanti, nelle sue trame. E' un male antico che ha lo sguardo che accusa. E la colpa mi assale. Mi allontana, mi protegge, un parassita che si nutre del coraggio di essere, ed apre al contrario le finestre del cuore. Dischiuse verso la repressione interiore, anziché spalancate, bramanti di scappar via in una dolce follia verso le nuvole lontane.
Non mi farò ingannare da quel calore...
Provo a sussurrare qualche sillaba incomprensibile, nessuno ascolta. Inutile urlare. Ma calerà una notte anche per le stelle, una parentesi di buio che ne purificherà la luce perenne, ed anche per chi non tramonta ci sarà un assaggio di pace.
Ma ancora non è maturata l'ombra. Resisto finché non trovo le autentiche mie parole, e finché la tela su cui dipingere questo intermezzo, questo atto vuoto di uno spettacolo che non avrà mai luogo, non sarà del tutto calata sulla scena.
Non è nulla, come stai? Non c'è nessun dolore... tutto bene, inutile, stupido, insulso, irrilevante, e così tipicamente piccolo.


Libera traduzione by Alcor.

sabato 29 settembre 2007

Ancora no...


Ci sono cose che maturano piano,
altre che muoiono acerbe,
frutti  beccati dagli uccelli che conosceranno i giorni con la buccia bucherellata.
Ci sono stati momenti persi,
ora il mio momento latita
e lo attendo.
Busserà alla porta senza preavviso.
Lo condurrà una musica, un dissapore, un'inattesa bastonata alla nuca,
oppure soltanto il nulla,
arriverà e basta.
Ora il momento giusto non c'è.
E dalla fonte non sgorga acqua.


Nell'immagine: Leonardo Roperti, Uomo in blu, 2003.



giovedì 27 settembre 2007

Boccioli sparsi



- Come stai? -  Ripeteva ancora una volta quella voce che fuoriusciva da quell'alienante involucro nel quale s'era confinata l'unica finestra che era riuscito a spalancare dal suo muro. Come sto? Provava a ripetersi cercando di spazzolare via un po' di retorica da quell'immagine floscia che doveva frettolosamente scrutare per trovare una risposta compiuta tra quei lineamenti sfibrati. Sapeva che in quelle esigue riga di verbi logorati dalla consuetudinaria routine con cui erano pescati e appiccicati alle pagine, avrebbe offerto soltanto una tenda opaca di tutto quello che gli si agitava dentro. Ma come poter mai sperare di scoperchiare del tutto quel baratro che lo graffiava interiormente, e offrire un dipinto ordinato e comprensibile che facesse davvero capire... In fin dei conti potevano essere soltanto nembi vagabondi d’un tempo che come una gomma corrosiva ed acida stava lentamente cancellando ogni traccia di identità dal suo viso. I giorni erano ormai divenuti maturi, erano transitate oltre le allergie al polline delle conifere che a primavera riempivano di sangue i suoi occhi, come fossero sacche di fuoco pronte a vuotarsi al minimo foro, e far fluire quel salato liquore. Eppure i bruciori erano tenaci ad allontanarsi, anche con le invetriate chiuse, a palpebre serrate e cucite.Poteva descriversi a partire da quel volto scarabocchiato la cui effigie esaminava, poteva farsi raccontare da un tumultuoso precipitato di musica francese che ascoltava con limitata attenzione. Lasciava infatti che fosse ogni cosa intorno a lui a dover essere attenta alla sua presenza. Così si svuotava di ogni infimo tratto, assecondando quel turbine interiore che lentamente gli portava via ogni desiderio di essere quale vorrebbe. Così avrebbe guardato il suo volto vagamente riflesso nelle pareti rotonde di quella campana di vetro nella quale s’era rinchiuso, ed ai cui infrangibili scomodi specchi avrebbe offerto le spalle, scivolando inerte per ritrovarsi accovacciato con le ginocchia incrociate al suolo e la testa piegata, non per raccogliersi in chissà quali meditazioni, ma per racchiudersi, collassare, spegnersi in quel buio che creava intrecciando gambe e braccia, eliminando ogni spiraglio. Comprimendo, schiacciando, dilaniando ogni bianco germoglio che non assomigliasse alla notte.Eppure avrebbe dovuto aspettarselo, sapeva bene ch eal mattino sarebbe stato meglio lavorare da buon cristiano qualunque, anziché rileggere all’infinito pagine e pensieri che non tornavano più. Allora si ritrovò ad odiare con tutto il suo cuore l’esistenza della parola scritta. Quella che resta eterna tra le pagine, le stesse che il ricordo da distese di fiori e d’azzurro, riesce a rovinare in violacee muraglie a cui si attorcigliano sterpi di rovi aguzzi e di spine affilate, che tranciano via la gioia di rivivere quel ieri come unica speranza dell'oggi. Detestò tutto quello che gli mancava, come fosse un graffio che gli portava via anche la pelle, lasciando le braccia nude e spoglie a farsi corrodere dall’aria immota e dalla pioggia. Calunniò persino quei graffiti sul muro scolpiti dai denti spalancati nelle urla di una faccia più volte schiantatagli contro, ogni volta che non si rassegnava a quelle tristi rinunce. Odiava la parola scritta e indelebile, che ripiomba sulla schiena come una frusta che ventila affetto e illusione quando è tesa e slanciata, e squarcia l’anima tutte le volte che i suoi occhi la vorrebbero recuperare nella memoria, durante un avaro presente.  Odiava, nonostante sapeva benissimo che tra quelle pagine s'era consacrata la sua stessa vita, che i suoi respiri si erano desti tra quelle sillabe, che se ci fossero mai stati pensieri gradevoli a lui, fu soltanto grazie a quel dono sconosciuto defluente nel gioco incosciente di mente e parole. Odiava il cammino che lo aveva condotto in cima alla rupe per consentirgli di venerare lo sconfinato sublime dal quale spandeva l’unica forma di vita che gli restava accettabile, e mentre succhiava illusione da quello, si smarriva alle spalle la via del ritorno alla pace del silenzio. Così amaramente comprese di avere miserrime speranze. Restare lì, appeso nel bilico oppresso di chi sparge e non riceve, oppure gettarsi via. Abbandonarsi in quel profondo, confidando appena nell'intimo più nascosto che la fine fosse solo un attimo indolore e insensibile. E bearsi dell’impressione che quelle sue membra avrebbero potuto giovarsi di un sonno che offrisse un domani reale a quei suoi sogni maturati troppo esili per perdurare oltre l’alba, e troppo ombrosi per trovare riparo alle spalle di palpebre socchiuse alla luce del Sole.- Come stai? – Gli avrebbe sussurrato in quella notte novella la voce finissima tutte le volte che il bisogno di lei si fosse accesso nell’anima.Dormo, e sono vivo.
(bozza d'un incipit)  Creative Commons LicenseQuest'opera è pubblicata sotto una Licenza Creative Commons

Nell'immagine: Salvador Dalì, "Sonno" (1937).



mercoledì 26 settembre 2007

Alcor's Psychedelic Dawn


La nebbia che ha spento le stelle ha serbato per me l'ennesima notte d'affanno. Tra nuvole stanche crollate al suolo ed una terra elevata che ne ha penetrata la coltre grigia, mi sono lasciato irretire da quella morsa di freddo e pioggia. Uno stormo di corvi ha abbracciato il canone sciolto di un'alba sfumata nella notte che ancora striscia ferita ed incapace di rialzarsi. Appesa al fardello di minuti scanditi  per dovere di presenza, per imposta necessità di timbrare l'orario d'apertura e chiusura di un giorno inutile, per timore che il Leviatano porga con brio la missiva di licenziamento.
Nel sogno che mi spalancava le incrostate porte dell'alba conoscevo la sorte che mi attendeva, eppur restavo fatalmente ad attenderla quasi con ardore. Poi è giunto il pifferaio a destarmi. Ascolto quel ricamo di fiato avvilupparsi intorno al silenzio che precede l'apertura delle palpebre, approfondisco ogni istante prima di farmi inondare dalla luce spossata, tengo stretti tra le unghia gli attimi del buio fresco e riposante. Inchiodo un respiro a quell'istante, e nella pausa tra un vento che bevo ed un altro che sputo, mi sembra di non esserci più e di volar via lontano.





Echoes - part II (1971)

PINK FLOYD - LIVE AT POMPEI 1972


L'albatro è immobile sospeso nell'aria,
e giù nel profondo dei flutti
in labirinti di caverne coralline
l'eco di un tempo remoto giunge
tremante attraverso le sabbie,
ed ogni cosa è verde sotto il sole;
e nessuno ci mostra la terra,
e nessuno conosce i dove o i perché
ma qualcosa è all'erta, qualcosa si muove
e comincia a salire verso terra

Stranieri attraversano la strada
e per caso due sguardi diversi si incontrano,
ed io sono te, e ciò che vedo in te sono io,
ti prenderò per mano per guidarti nel paese,
ma aiutami a comprendere al meglio che posso
Nessuno ci chiama a vedere l'alba,
nessuno ci fa abbassare gli occhi,
nessuno parla, nessuno cerca,
nessuno vola intorno al sole

Tranquilla ogni giorno ti offri
ai miei occhi che si destano,
m'inviti, guardandomi, ad alzarmi,
e dal muro, attraverso la finestra
arrivano ondeggiando su ali di raggi di sole
un milione di ambasciatori splendenti del mattino
e nessuno mi canta una ninna nanna
e nessuno mi aiuta a chiudere gli occhi
così spalanco le finestre
e nuoto fino a te, attraverso il cielo




(Waters, Wright, Mason, Gilmour, "Echoes", Meddle, 1971)



Libera traduzione by Alcor.





martedì 25 settembre 2007

I'm feeling Pulp



Ezechiele 25.17: "...il cammino dell'uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre; perché egli è in verità il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare ed infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farò calare la mia vendetta sopra di te."
Ora, sono anni che dico questa cazzata, e se la sentivi significava che eri fatto. Non mi sono mai chiesto cosa volesse dire, pensavo fosse una stronzata da dire a sangue freddo a un figlio di puttana prima di sparargli... ma stamattina ho visto una cosa che mi ha fatto riflettere. Vedi, adesso penso, magari vuol dire che tu sei l'uomo malvagio e io l'uomo timorato, e il signor 9mm, qui, lui è il pastore che protegge il mio timorato sedere nella valle delle tenebre. O può voler dire che tu sei l'uomo timorato, e io sono il pastore, ed è il mondo ad essere malvagio ed egoista, forse. Questo mi piacerebbe. Ma questa cosa non è la verità. La verità è che TU sei il debole, e io sono la tirannia degli uomini malvagi. Ma ci sto provando, Ringo, ci sto provando con grande fatica a diventare il pastore."
(Jules Winnfield)

Secondo me questo film bellissimo è tutto in questo passo. Perciò non aggiungo altro. Ogni personaggio della storia è stato realizzato ad arte e davvero non saprei definire quale mi piace di più: se sia Jules Winnfield che si sente toccato dal divino, se sia Vincent Vega che balla il twist con Mia Wallace, se sia il mitico e cinico Sig. Wolf che risolve i problemi... Io un'immagine la ho cara, ed è Butch (Bruce Willis), il pugile romantico, che rischia la vita per un orologio legato alla storia della sua famiglia; un orologio che assomiglia più ad una maledizione che ad un ricordo, visto che è stato tenuto nascosto in zone del corpo proibitive da suo padre durante la prigionia in guerra. E' spassosissima la scena in cui cerca un'arma
per liberare colui che prima lo voleva uccidere (Marsellus Wallace) dalle grinfie dei due sadici stupratori, le prova tutte e alla fine, come un'apparizione, la trova: la spada samurai...

La citazione che a me, uomo prolisso e logorroico, è piaciuta di più la dobbiamo a Mia Wallace (Uma Thurman):
"...I silenzi che mettono a disagio... Perché sentiamo la necessità di chiacchierare di puttanate, per sentirci più a nostro agio? È solo allora che sai di aver trovato qualcuno davvero speciale, quando puoi chiudere quella cazzo di bocca per un momento e condividere il silenzio in santa pace..."

Ora capisco perchè io sto sempre a parlare...

lunedì 24 settembre 2007

Souls




René Magritte, Gli Amanti (Les Amants), 1928. Olio su tela, 54 x 73 cm. New York, Richard S. Zeisler Collection.



 




Aiutami ad arrivare alla fine del giorno
perché voglio scoprire cosa si nasconde dietro quegli occhi.

Blu di mezzanotte, oro in fiamme,
una luna gialla risplende fredda.
Mi alzo, guardando attraverso i miei occhi del mattino
illumino la mia mente, non provo a ricordare il tuo nome,
ma a trovare le parole per dirti addio.


(R. Wright)






Versi tratti da: R. Wright and R. Waters, Stay, in Pink Floyd, Obscured by Clouds (1972).
Testo completo e traduzione su: http://www.pink-f
loyd.it/testi/home.htm


domenica 23 settembre 2007

Mappa del cielo - Roma 24/9/2007 ore 00:00

Tutto sta cambiando, e cambia anche la mappa del cielo, che prende vita. L'animazione descrive i mutamento del cielo dalle ore 00:00 del 24 settembre allle ore 00:00 del 1 ottobre, ciascuna frame corrisponde alla mezzanotte del nuovo giorno. Ed ora, chiederei ad una persona: chi è più bravo?

Da questa mappa possiamo vedere come a partire da sabato e domenica prossima Orione sarà completamente visibile nel cielo, con la sua inconfondibile cintura costituita dalle tre stelle allineate Alnitak, Alnilam e Mintaka. Nei pressi di Marte, possiamo vedere sorgere la costellazione di Gemini, i Gemelli con la coppia di stelle Castore e Polluce. Andromeda, con la sua Nubulosa transiterà nei pressi dello zenit, il punto rosso centrale della mappa. Tra le costellazioni zodiacali, vediamo che il Capricorno si avvicina al suo tramonto. Da questa mappa si può inoltre osservare il movimento della Luna nel cielo. Tutti gli oggetti del Sistema Solare si muovono lungo lo stesso percorso nel cielo, l'eclittica, ossia il tragitto immaginario del Sole. Quando anche la Luna interseca questa rotta, è possibile che si verifichino le eclissi.

sabato 22 settembre 2007

Feanor



 Gandalf theme from The Bridge of Khazad Dum - The Lord of the Rings



" ...Fëanor crebbe rapidamente, e un segreto fuoco gli si accese dentro. Era alto e destro, i suoi occhi erano lucenti e penetranti, i capelli neri come ala di corvo; e nel perseguimento dei propri scopi, era perseverante e risoluto. Ben pochi riuscivano a distoglierlo dai suoi scopi con la parola, nessuno con la forza. Divenne, di tutti i Noldor allora e dopo, quello dalla mente più duttile e dalla mano più abile... "

(J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion)


Ti strapperanno via le parole come se ti estirpassero le arterie
Si sazieranno del tuo sangue calpestando inconsci un esanime relitto
Polverizzeranno la tua linfa che avvelenerà i vermi
Le cicatrici erutteranno furore come squarci alle falde del vulcano
Esalando i respiri dei frantumi dell'anima sparsi
E quella spada azzopperà la tua corsa sbilenca
Infiniti giri del mondo tra echi bugiardi e promesse infrante
Stracciate le pupille dagli alveoli di piombo che dilaniano le palpebre nere
Hai forgiato il cratere che seppelisce quel che hai covato.

 Ma ti rialzi ancora, maledetto.

L'orgoglio ti rimetterà in piedi


giovedì 20 settembre 2007

Una giornata


Mi piace sempre definirlo così, un giorno. Un ritorno del mondo al punto in cui è adesso, nel suo girotondo intorno a se stesso. Trottorella il mondo, sobbalzando leggermente ai poli, ed io ora sono qui, con solo un giro del mondo di ritardo.
Ho trascorso gli ultimi due giorni come fossero due gemelli siamesi dello stesso attimo, fusi dalla frenesia degli appuntamenti improrogabili con la realtà che non puoi disertare. Eppure l'avrei fatto, oggi pomeriggio, mentre quel pullman attraversava quel paese così diverso dal mio. E volevo scendere lì, alla fermata precedente, perchè temevo di conoscere cosa mi attendeva al varco delle  fermate successive... Ma c'era soltanto il forte vento a raccogliermi quando sono sceso. Tutto è così automaticamente predetermianto. Come sempre, il passo svelto sino alla stazione centrale, dove c'è la fontana in manutenzione da mesi. Peccato che lo fosse, la costeggiavo sempre lungo il lato avverso al quale soffiava il vento, cosicchè goccioline invisibili avrebbero potuto sfiorarmi il viso, e tra quei fiotti finissimi e vaporei, un minuscolo arcobaleno si sospendeva tra le boccuccie della fontana ed i gas di scarico dei tram che da lì partono. Un arcobaleno al metano. Raggiungo il punto di raccolta delle genti affaccendate che devono attraversare tutta la città, ciascuno assorto nelle proprie cose. Ci arrivo ignorando il rosso omino dei semafori, rischiando di finire sotto la falce... ed un CBR per poco non mi ci portava, ma non lo ha fatto. "E non hai pietà tu di me?" Stavo urlando a quel dardo bianco spuntato
improvviso da una curva cieca. Niente falce per ora, ho promesso di non tramontare. In autobus non mi accorgo che a pochi passi tra la folla c'era una collega, dirà di aver fatto strani segni rivolti alla mia attenzione assorta, negli spazi limitati che la calca umana lasciava liberi al suo campo visivo, nel qual suo io apparivo, mentre il mio era del tutto spento e assente. Finalmente, scendendo, mi accorgo di lei, ha una valigia, saluterà tutti perchè parte per l'Inghilterra, lei ce l'ha fatta, se ne andrà. Ascolterà le nostre conferenze e ciao.
Pochi minuti ancora, io sarò il secondo. Dobbiamo caricare i nostri file sul portatile. Ed è lì che la mia natura scanzonata vien fuori... perchè dopo una notte insonne a preparare le slides maledette, dopo che la bottiglietta di caffè che avevo bevuto la sera prima per consentirmi una notte di lavoro mi aveva  cementato le palpebre mentre il resto del corpo voleva crepare dal sonno; dopo un'alzataccia alle 5.00 per continuare l'opera interrotta dal rifiuto del mio pc di assecondare i miei ritardi nottetempo, sono stato capace di dimenticarmi
a casa la pennina usb col mio sudato lavoro. Se fossi stato un personaggio uscito fuori dalla penna di Italo Svevo mi sarei dato una spiegazione psicoanalitica a tutto questo, come Zeno che sbaglia funerale perchè dentro di sè forse sa che quel defunto non gli era stato poi così simpatico. Ma io sono in cerca d'autore e non posso essere interpretato senza un contesto. E poichè io ho esperienza delle svariate forme inconscie in cui riesco spesso a farmi del male, ero stato previdente. Perchè avevo salvato la mia presentazione su un server, e dovevo solo scaricarmela. Fatto. Perchè io non mi frego nemmeno da solo. L'unica cosa che mi frega è una maledetta impostazione del firewall per msn, ma lasciamo stare...
Non c'è nessuno di potenzialmente fastidioso tra coloro che ascoltano, ma sinceramente non mi tangeva minimamente. La mente era altrove, come sempre. Ah!... Se ci fossero dei linguisti o dei grammatici a leggermi, faccio loro presente che il mio uso incoerente e blasfemo della consecutio temporum è ricercato e voluto, è un mio schizzo stilistico per mescolare i tempi nel periodo. Raccontare è come rivivere, e deve tracciare una via per sperare. Perchè il presente non è solo l'intersezione tra passato e futuro, ma una corsa dove non vuoi restare indietro ai tuoi sogni sfuggenti. Ed il mio presente ora è una canzone che da tre giri del mondo non riesco a tener spenta. Come una sorgente da cui s'abbevera l'anima, come un corso d'acqua limpida e trasparente nella quale essa si specchia dopo essersi assetata, e dopo aver visto chi c'è in quell'immagine, ritorna a bere. Ho pianto ascoltandola e mi risuona, mi incalza al desiderio di dismettere via tutto e tornare lì dove lei canta questi miei giorni.

Una collega a cui è stato riferito che non andrà in terra d'albione si offre d'accompagnarmi mentre nasconde la delusione a stento. Viene con noi anche un altro collega che invece lì già c'è stato, e tra una delusa ed un soddisfatto, c'ero io che non andrò da nessuna parte. La sera è già fredda qui, e fa buio presto, ma sono contento, perchè le ultime stelle d'estate
oramai si mescolano alla luce del giorno, e solo un avanzar prematuro della sera mi consente di vedere ancora Antares al di sotto di Giove.
Sto andando a casa. Colto da un attimo di immenso inatteso, e tanto lì dura la mia casa.
Il tragitto scomodo appoggiato al finestrino appannato si compiace di offrire storie narrate ad alta voce, storie che dovrebbero restar celate nei sussurri, storie di addii e voglia di star soli raccolte da orecchie estranee, transitate anche nei pressi delle mie. E nella voce spezzata ma risoluta della fanciulla alle mie spalle che ricacciava qualcuno al telefono, ho sentito una tenerezza posarsi tenue in fondo lì, dove s'abbevera l'anima, dove sento di tornare a casa. E' solo la corsa serale di un autobus, ma spesso si diventa involontari scrigni feriti delle storie altrui, di parole carpite involontariamente da quella madre ansiosa, del racconto di tanti giorni diversi che si incontrano tutti a pochi millimetri l'un dall'altro, come fosse la storia di un'unica vita del genere umano che si consumava nello spazio di un'ora, di quel ritorno a casa. E nel buio distinguevo tra i vetri sporchi e le luci del mondo fuori i rami di quegli alberi, sempre loro, chiome che ancora riescono ad interrompere l'oscurità, sventolate come bandiere dal vento, ma non in senso di resa. Tutto sembra bello se c'è un pensiero dolce a dipingere l'aura di ciò su cui si posano gli occhi per caso, o per semplice stanchezza.
E' solo che quel ritorno a casa ancora non ha mantenuto la promessa. Perchè sono qui tra i mistici echi della notte, tra il quieto sopraggiungere dei fruscii che interrompono i percorsi silenti di strade deserte, a rendicontarmi i passi di un mondo che guarda avanti ritornando indietro, al medesimo punto di partenza.
E lo sento anche io, che il treno ha fischiato. Sì forse sta fischiando ancora più forte il treno, fischia ma io mi volto alle mie spalle, perchè forse non è la chiamata per me, forse c'è qualcun altro che sta arrivando e che rischia di perdere la sua carrozza. Il treno fischia e invita a far presto, fischia e  chiama con ansia. Fischia il treno ma non si odono passi. Il treno ha fischiato, ed io forse sono solo un errore.

mercoledì 19 settembre 2007

Sembra quasi l’anima che va ...



La malinconia ha le onde come il mare ti fa andare e poi tornare

ti culla dolcemente
la malinconia si balla come un lento
la puoi stringere in silenzio
e sentire tutto dentro
è sentirsi vicini e anche lontani
è viaggiare stando fermi
è vivere altre vite
è sentirsi in volo dentro gli aereoplani sulle navi illuminate
sui treni che vedi passare
ha la luce calda e rossa di un tramonto
di un giorno ferito che non vuole morire mai.

Sembra quasi la felicità, sembra quasi l’anima che va
il sogno che si mischia alla realtà
puoi scambiarla per tristezza
ma e’ solo l’anima che sa

che anche il dolore servirà
  E perdersi tra le dune del deserto tra le onde in mare aperto
e sentire che tutto si può perdonare,
cioè che tutto può cambiare
è stare in silenzio ad ascoltare, e sentire che può essere dolce .

Quel giorno, sarà dolce




E' solo un frammento di un canto non mio (tranne l'ultimo verso, ovviamente, l'ultima parola è sempre mia...). Regalo di una notte inquieta, trascorsa tra lenzuola scalciate via ed echi di fredde parole, ed il sudore d'ansia di un pensiero che mi apriva gli occhi mentre fuori era buio.




martedì 18 settembre 2007

Vedo gente... faccio cose...


Telefonata
"...No veramente non ...non mi va.
Ho anche un mezzo appuntamento al bar con gli altri.
Senti, ma che tipo di festa è? Non è che alle dieci state tutti a ballare i girotondi ed io sto buttato in un angolo...no. Ah no, se si balla non vengo. No, allora non vengo.
...Che dici vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo. Vengo e mi metto, così, vicino a una finestra, di profilo, in controluce.
Voi mi fate: "Michele vieni di là con noi, dai" - ed io -  "andate, andate, vi raggiungo dopo". Vengo, ci vediamo là.
No, non mi va, non vengo."

Ok! Non so come diavolo faccia a sentirmi ottimista oggi, ma ho anche l'impressione di essere avanti col lavoro, perciò ne parlo subito! Così torno in deficit e mi sento in una dimensione più adeguata ai miei standard mentali. Sono abituato ad inseguire pedalando anzichè a precedere... ma lasciamo perdere. Questo film si potrebbe benissimo descrivere a partire solo dai dialoghi, dalle situazioni e dalle scenette che si ripropongono... perciò va visto, punto e basta.
Immerso in una comicità drammatica ed esilarante allo stesso tempo che consente di ridere a crepapelle del senso di vuoto che riempie e circonda i protagonisti, è la storia di un gruppo di amici allo sbando, che sembra esistere solo per riempire il tempo. Tutto è banale e tremendamente insignificante, dove s'è perso ogni controllo sul tempo, sul proprio scorrere della vita e sui rapporti umani. Dove l'ordine familiare viene sovvertito da genitori sempre meno capaci di mantenere saldo il timone, e  da figli alle prese con i loro problemi dovuti ad una società in rapida evoluzione.
Il film è cosparso da dialoghi surreali ed assurdi che tendono ad evidenziare come lo stesso linguaggio non sia più adeguato a descrivere né la dimensione nella quale le persone, e soprattutto, i giovani si muovono, né sia più in grado di stabilire adeguati canali di comunicabilità.

Amici al bar
- Stasera potremmo andare da Mario il Marsigliese... -
- Ma non ti sei accorto che lì fanno delle bistecche così grosse a 200 lire? Non hai dei sospetti, no? -
- Allora in pizzeria? -
- No, no... - ... Cinema? -
- No, cinema no -
- Un altro gelato? - No! - ... Bottiglieria? - ...No! -
- ...Andiamo a trovare Alfredo? - (Michele)
- ...E' morto Alfredo... -
- Alfredo?... Ma da quando? - (Michele)
- Tre anni fa' -
- ... Madonna mia... -  (Michele)

A casa di Michele
- Non ci crederete ma oggi davanti ad una scuola ho visto due giovani che si baciavano... due giovani... un ragazzo con un altro ragazzo...  - (papà)
- ... Come sta la Silvia? - (mamma)
- Silvia! non "la Silvia"! Mamma fortunatamente siamo a Roma, non a Milano: "la Silvia, il Giorgio, il Pannella, il Giovanni"... "Cacare", non "cagare"... "Fica", non "figa"... -  (Michele)
- Michele per cortesia! - (papà)
- No... non sono parolacce! Questo è il linguaggio di noi giovani! Noi giovani parliamo così... -  (Michele)
- Ma quanto sei scemo... - (papà)


Michele e Flaminia
- Pensavo che si potrebbe fare l'amore... ma pensavo che fosse impossibile. E' possibile? - (Michele)
- Dipende... - (Flaminia)
- Dipende da cosa? -
- Dipende se c'è un motivo. - 
- In che senso? -
- Se c'è un motivo, allora non vedo perché, se non c'è, allora non vedo perché no. -
- Non capisco... -

Il film vuole risaltare la totale assenza di idee, di alternative, di iniziativa, di coerenza, di intraprendenza che affonda la condizione di giovani allo sbando, ma soprattutto la mancata presa di coscienza di questa assurdità amara, dovuta ad una società che non offre più punti di riferimento, in cui si prova ad inventare passatempi senza senso come lo stare sempre a meditare su se stessi ed il mondo. Michele chiede ad una delle sue occasionali ragazze: "Ma tu, concretamente, che cosa fai? ...Come campi?"  - E lei risponde: "Giro..., vedo gente..., mi muovo..., conosco..., faccio cose...". E tutto poi si conclude così... con tutti che vogliono andare a trovare una fantomatica Olga, la voce si sparge in giro e tutti si aggregano alla massa senza capire e pensare. Alla fine ognuno si smarrirà nelle proprie cose, e da Olga ci andrà soltanto Michele, l'unico che all'inizio non voleva andarci.
Emblematica la scena che dà il titolo al film. Il gruppo di amici decide di andare a vedere l'alba sulla spiaggia di Ostia. Il sole tuttavia spunta alle loro spalle mentre essi avevano vegliato tutta la notte dalla parte sbagliata. 
Un robivecchi pedala sull'alto del terrapieno con la sua "raccolta" di cianfrusaglie, gridando: "Ecce Bombo!". Loro lo osservano immobili, come pietrificati. Quanto assomigliano loro a quelle cianfrusaglie grottesche portate via! E quanto quel robivecchi assomiglia ad un'incompresibile e decaduto Zarathustra che annuncia l' "Ecce Bombo" anziché l' "Ecce Homo" di Nietzsche, un uomo vuoto ed insensato anzichè il super-uomo rigenerato da se stesso. Dal rifiuto nichilista dei valori assoluti ed imposti, si giunge ad un uomo caricaturale e assurdo, anzichè ad un nuovo umanesimo che riscopre nel valore immenso della persona i nuovi punti di riferimento della morale.

Beh, io ho il difetto di rovinare anche un film divertente con la filosofia, ma ogni tanto... qualche deviazione da intellettualoide bizzarro in stracci consumati quale sono, concedetemela, anche se non si capisce di cosa parlo... serve per preservare intatta la mia mente dall'aggressione quotidiana arrecatami dalle funzioni Cobb-Douglas...

Locandina e dialoghi tratti dal film: Ecce Bombo, di Nanni Moretti (1978).


domenica 16 settembre 2007

Mappa del cielo - Roma 17/9/2007 ore 00:00

Luna in fase crescente... ma il cielo è ancora scuro. In questo transito verso le stelle invernali.

Comincia a spuntare Betelgeuse, la stella rossa che rappresenta la spalla sinistra del "cacciatore"... Orione è abbastanza pigro a destarsi. Come ogni gradasso lavativo che si rispetti, del resto. Non biasimatemi se ce l'ho tanto con Orione, magari alle donne lui piace, ma la mia è un'antipatia remota, irrecuperabile... Intanto l'Orsa Maggiore striscia all'orizzonte nord quasi stancamente, è quasi fiacca. Per il resto guardate la mappa, al culmine c'è il "quadrato" di Pegasus. C'è una bella costellazione nel cielo in questo periodo che a me piace molto, è Cetus (Balena). Perchè c'è lei, la splendida Mira, la stellina rossastra al centro della costellazione; è una di quelle stelle per cui si desidererebbe smarrirsi nello spazio aperto...

sabato 15 settembre 2007

Una notte tra orizzonti sbagliati


Ieri notte non ce l'ho fatta, era l'1.00 inoltrata ma proprio in quel letto non avevo voglia di entrarci. Tardi per la chitarra, tardi per sbudellare gli occhi sul modello di Grossman e Rossi Hansberg alla luce di un lanternino, tardi per la tv, tardi per Dostoevskij che attende fiducioso sul mio comodino. Indossavo ancora la mia tuta azzurra e arancione adidas, le mie scarpe da ginnastica nike sempre azzurre, una maglietta taglia comoda adidas, anche essa arancione. Mi guardo allo specchio e mi rendo conto che occorre ripulire un pochino l'immagine. I capelli devono essere decisamente tagliati, e scopro con stupore che non mi faccio la barba da una settimana, assomiglio ad un guerrigliero del Kashmir travestito da olandese. Non sono sciupato, neanche un po', nonostante i tubi del mio apparato digerente reclamino del bolo più frequentemente, ed abbia i succhi gastrici assunti con contratto di lavoro parasubordinato. Chissà se arriveranno alla pensione, io no di certo. Perché, i prof universitari vanno mica in pensione? Si decidessero cavolo... dobbiamo attendere per forza qualche dipartita noi che bussiamo alla porta? Sempre se ci arriverò a bussare a quella porta.
Poi, verso l'1.15, ritorna disponibile la macchina, ed io al balcone di casa mi stavo godendo una tiepida notte che non assomigliava né all'estate né all'autunno. Dell'estate non ha più l'eco del vocio della gente spensierata che passeggia lungo il viale fino all'alba, dell'autunno non ha ancora l'esigenza di dover indossare una giacchetta sul far della sera. Aria distesa e silente, e non ho resistito. Ho preso l'astrolabio, che non mi serve ma lo porto con me sempre, una penna, un quaderno per gli appunti, il giubbotto nel caso avessi deciso di non tornare prima dell'aurora, ed il mio binocolo. Vado a godermi un cielo stellato. Accendo la macchina ascoltando questa canzone rivolta al passato. Ma dove vado? Le alture nei pressi dei boschi sono un po’ troppo distanti… mi restavano altre due opzioni in pianura, e di solito dinanzi ad un bivio io sono il jolly delle scelte sbagliate. La collina è al centro della valle, vado a nord rinunciando ad una buona visuale dell'orizzonte sud? O viceversa? Vado a sud. Con la macchina scendo lungo la valle. La mia mèta è un piazzale antistante un piccolo santuario ipogeo tra le campagne e gli alberi d'ulivo. Fa un po' senso stare in piena notte tra chiesette, crocifissi e statue di vie crucis disseminate tra muretti e piccole grotticelle. Ma ho sviluppato un senso di distanza dalla superstizione che mi rende immune dalla fifa di un’improbabile scenario blasfemo in stile Esorcista.

C'è però un problema. Avevo dimenticato che quello spazio isolato nelle campagne da me prescelto per dedicarmi in pace alle stelle, durante la notte, è anche lo spazio prescelto da altra gente per fare altro. In effetti, non appena vi giungo mi sembra di trovarmi davanti ad un parcheggio custodito a tariffa oraria con il cartello “parcheggio esaurito”, zeppo di auto barcollanti. Se fossi rimasto lì fuori col binocolo e l’astrolabio mi avrebbero scambiato per il nipote di Pacciani. E la mia memoria topografica doveva irrimediabilmente rimettersi in moto alla ricerca di un luogo più consono possibilmente nelle vicinanze. Ok, poco distante c’è la gravina. Lascio la macchina nell’area picnic dove non ci va mai nessuno, neanche per mangiare per un pacco di cracker. Al buio è complicato fare lo slalom tra i preservativi usati e le siringhe ma mi affido alla buona sorte.

La notte è umida. I grilli sinfonici e ululati vari mi raccontano le confidenze della natura. Il cielo non è generoso in queste condizioni. La collina alle spalle mi occlude parte dell’orizzonte nord, il mare mi è di fronte, e spero nell’orizzonte sud. Ma le luci di Taranto non si spengono mai. Perché dimenticavo che quella lì non è Taranto, vedo una miriade di luci arancione che sembrano belle specchiarsi sul Mar Grande ed il porto, ma quella è l’ILVA che non si addormenta mai. Con i suoi fumi, le sue esalazioni e le sue polveri che concentrano in pochi Km dalle mie narici il 10% della diossina che avvelena l’Europa. E che due anni fa’ ha tolto la vita ad un mio coetaneo con cui giocavo a pallone per strada da bambino.
Conclusione: a parte Marte, le Pleiadi, l’odiatissimo Orione, e le solite cose condite con un po’ di Via Lattea quanto basta, non si vedeva un tubo. Sarei dovuto andare lassù verso il bosco con meno bagliori e più zanzare. La prossima volta… Sono quasi le 2.00 e non ho ancora voglia di tornare a casa. Metto in moto la macchina e ascolto questa canzone rivolta al futuro (quale futuro?...). Le vie del borgo soffrono la mia stessa insonnia e parlano della mia stessa volontà di restar desti e lucidi. Ci sono ragazzi e ragazze in giro, c’è persino la musica al piano bar del disco pub sul belvedere. Evito i luoghi dove posso incontrare persone conosciute, non mi faccio vedere in giro da oltre una settimana e va bene così. Tra i pro di un paesino tranquillo c’è che puoi vivere la notte in santa pace, tra i contro c’è che la vivi transitando da una rottura di palle all’altra.

C’è un senso di sfiancamento e noia in questo mio gironzolare, e c’è voglia di qualcosa che è lontano. Ok, i violini stanno ultimando la loro fuga. E sono dinanzi all'entrata del garage. Gli occhi  mi suggeriscono l'idea del letto, lo stomaco mi suggerisce l'idea di uno spuntino notturno, le gambe mi suggeriscono di scappar via e correre sotto le stelle inzuppate di umido e nuvolette nottilucenti. No, non piango stanotte, non mi serve più piangere, voglio solo stare in silenzio e  perdermi, dimenticare la strada verso casa, e fischiettare vagabondo con le mani in tasca un arpeggio delicato di corde di una chitarra celeste. E prego un dio dei viaggiatori che faccia di me un angelo bianco.



venerdì 14 settembre 2007

La ricerca, l'attesa, un fiume che scorre


"Così tutti amavano Siddharta. A tutti egli dava gioia, tutti ne traevano piacere. Ma egli, Siddharta, non era gioia di se stesso. Siddharta aveva cominciato ad alimentare in sé la scontentezza. Aveva cominciato a sentire che l'amore di suo padre e di sua madre ed anche l'amore del suo amico, Govinda, non avrebbero fatto per sempre la sua eterna felicità."
Siddharta e Govinda abbandonarono la loro casa per ricercare nel mondo la propria piena consapevolezza di sé. Trascorsero anni insieme ai Samana, un popoli asceta dedito alla meditazione, alla contemplazione, all'elemosina. Vivevano attraverso la totale rinuncia della propria esteriorità, coltivando lo spirito, annichilendo la propria fisicità. Ma non era per quella via che Siddharta riuscirà a placare la sua inquietudine, la ricerca della completezza, la via che conduce al Nirvana. Quella rinuncia non era una strada che svelava il mistero dell'Io, piuttosto era una fuga. Abbandonarono i Samana, per conoscere il Buddha. Il savio che viveva nei boschi, che illuminava le menti durante il cammino. Forse seguendo quella dottrina avrebbero trovato la strada che stavano cercando. Ma Siddharta capiva, camminava e capiva, che non cercava maestri, dottrine, sapienze, cercava se stesso.
"In verità, nessuna cosa al mondo ha tanto occupato i miei pensieri, come questo mio Io, questo enigma ch'io vivo, d'essere uno, distinto e separato da tutti gli altri, d'esser Siddharta! E nessuna cosa al mondo so tanto poco quanto su di me, Siddharta!"
Govinda restò presso il Buddha, Siddharta capì che doveva andare oltre. Giunse in città, da povero mendicante. Incontra Kamala, una donna, una meretrice pronta ad insegnare l'amore a Siddharta. Egli si lasciò afferrare, rapire, si immerse del tutto in quella esistenza passionale e travolgente. Imparò l'amore ed imparò i guadagni, la ricchezza, la compromissione del mondo, scivolando nelle sue debolezze, nelle nefandezze. Dopo anni presso Kamala, Siddharta capì di aver toccato il fondo e che non era quello il senso della sua ricerca dell'essere. Abbandonò la donna e cercò la redenzione e l'espiazione del suo peccato. Si avviò verso il fiume dove tentò di ripagare al suo male togliendosi la vita. Ma ecco un altro incontro. Vesudeva, il barcaiolo che viveva lungo il fiume, che accolse Siddharta nella sua casa, e insegnò a questi a traghettare la barca lungo il fiume. Vesideva era taciturno, il suo ruolo era di restare lì, accompagnare i viandanti tra le sponde. Il suo unico maestro era stato il fiume.
"Lui sa tutto, il fiume, tutto si può imparare da lui [...] il fiume si trova dovunque in ogni istante, alle sorgenti e alla foce, alla cascata, al traghetto, alle rapide, al mare, in montagna, dovunque  in  ogni istante, e che per lui il tempo non esiste, non vi è che il presente, neanche l'ombra del passato, neanche l'ombra dell'avvenire.
Siddharta prestò l'orecchio all'ascolto dell'acqua e sentì ridere.
"Nulla fu, nulla sarà: tutto è, tutto ha realtà e presenza [...] E tutto insieme, tutte le voci, tutte le mete, tutti i desideri, tutti i dolori, tutta la gioia, tutto il bene e il male, tutto insieme era il mondo. Tutto insieme era il fiume del divenire, era la musica della vita. In gran canto delle mille voci consisteva di un'unica parola, e questa parola era Om: la perfezione.
Un viandante tornò al fiume. Dopo che Vesudeva era andato via, la barca rimase a Siddharta che traghettava i viaggiatori. Vecchio e stanco il viandante non riconobbe nel barcaiolo il suo amico d'infanzia. Il viandante era Govinda che era rimasto presso il Buddha. Quando Siddharta si rivelò all'amico d'un tempo, questi chiese se egli avesse mai raggiunto la sua pace, se avesse mai terminato la sua ricerca, e quali insegnamenti avesse seguito. Rispose Siddharta, abitante del fiume: "Cercare significa: aver uno scopo. Trovare significa: essere liberi, restare aperti, non avere scopo."
Siddharta ebbe molti maestri, una bella donna, un uomo d'affari, dei giocatori d'azzardo, un barcaiolo, un figlio sofferente del padre. La scienza può comunicarsi, insegnarsi, non la vita. E in ogni cosa non c'è solo il bene, ed in altre non c'è solo il male, ma un continuo mescolarsi di entrambi. E raggiungere uno scopo, pensare di arrivare alla méta di un giorno migliore per vivere e capire chi sei, è solo un'illusione. Il fiume non è una foce che busserà alle porte del mare. Il fiume è tutto, con il suo argine e la sua profondità, ed anche la sua leggerezza. Il fiume non aspetta un tempo, il fiume non conosce il tempo. La sua perfezione è nel canto dentro di sé. La nostra vita, il nostro tutto, il nostro vivere in qualsiasi cosa su cui far riposare il nostro sguardo, in qualsiasi cosa un sogno sceglie di posare la propria gioia, questo noi siamo, dentro di noi, in un presente senza fine.


I brani in corsivo sono tratti da H. Hesse, Siddharta, ed. Adelphi.


giovedì 13 settembre 2007

Il Processo

Sono al buio, seduto nella cella che mi sono scavato nel MURO. Appoggiato alla parete col sudore che mi intonaca il volto di polvere e vernice scura, e sussurro lento: "basta... basta... voglio andare a casa, non ce la faccio più..." e tra le dita divoro con occhi distratti un vecchio libricino nero con scritte le mie poesie, esile e stracciato, con custoditi intatti i ricordi di anni di vita... lo chiamavo Parsifal perchè doveva aiutarmi, quando me lo scoprirono a scuola anni fa' un professore lo ribattezzò con scherno "il libro dei morti"... mentre tra quelle pagine scorreva la mia mia vita... Eccolo qui il libro dei morti lo porto con me.
Sono pronto, sento che il pubblico si sta scaldando, sento i bassi di una banda che annunciano l'inizio dello spettacolo, una guardia sta arrivando mentre io ignoro, fiacco e gemente alle pendici del MURO. 

Saranno in tanti a parlare al processo.






L’Accusatore che saltella sul MURO:


Buon giorno, Verme vostro onore!
L'accusa mostrerà chiaramente

Che l'imputato che ora le è di fronte

E' stato colto in flagrante mentre mostrava sentimenti

Mostrava sentimenti di una natura quasi umana

Ciò è inaudito!


Il Giudice Deretano gigante:



Chiamate il maestro a testimoniare!



Il Maestro:



Ho sempre detto che non avrebbe concluso niente di buono
Alla fine, vostro onore
Se mi avessero lasciato fare a modo mio avrei potuto
Scorticarlo fino a sistemarlo a dovere!
Ma le mie mani erano legate
I cuori sanguinanti e gli artisti
Lo hanno lasciato andar via impunito
Lasciate che lo bastoni oggi!



Pink:



Pazzo, come un ragno in soffitta, sono pazzo
Completamente smarrito
Devono avermi strappato via le redini…
Pazzo, come un ragno in soffitta, c'è un pazzo




Il Giudice Deretano:

Chiamate la moglie a testimoniare in sua difesa!



La Moglie, la mantide, insetto che divora il partner dopo l’accoppiamento :



Tu piccolo stronzo, sei fregato adesso!
E spero davvero che gettino via la chiave
Avresti dovuto parlarmi più spesso
Di quanto hai fatto, ma no! tu dovevi
Andare per la tua strada! Hai rovinato
Qualche altra famiglia recentemente?
Solo cinque minuti, Verme vostro onore,
Lasciateci soli…



La Madre, accorre in difesa del figlio, il suo abbraccio si scioglie però nel MURO:



Bambino mio!
Vieni dalla mamma, bambino, lascia che ti stringa
Tra le mie braccia
Mio Dio, non ho mai pensato
Che tu saresti finito nei guai
Perché mai hai voluto lasciarmi?
Verme vostro onore, lasciate che lo porti a casa!



Pink:



Pazzo, oltre l’arcobaleno, sono pazzo
Tra le sbarre alle finestre
Ci deve essere stata una porta là nel muro
Quando ci sono entrato…
Pazzo, oltre l'arcobaleno, c'è un pazzo



Il Giudice Deretano emette la sentenza:



Le prove di fronte alla Corte sono incontrovertibili,
Non c'è bisogno che
La giuria si ritiri per deliberare.
In tutti i miei anni da giudice
Non ho mai visto prima
Qualcuno che meritasse più di lui
La massima pena prevista dalla legge!
Il modo in cui hai fatto soffrire
La tua splendida compagna e tua madre
Mi stimola il bisogno di defecare!
Ma, amico mio, tu hai rivelato
La tua
più nascosta paura di vivere!
E quel MURO serviva a proteggerti!


Ordino quindi che tu venga rigettato tra gli uomini!
Di fronte ai tuoi simili…

"ABBATTETE IL MURO!!!"


Joseph K. era un semplice impiegato di una banca praghese, una mattina due uomini si presentano da lui per arrestarlo, è stato accusato, sarebbe stato processato. Ma lo lasciano andare... Perchè è stato accusato? Che delitto ha commesso? Perchè lo lasciano libero e non lo rinchiudono in una cella? In quella libertà odiata e deturpata dall'ombra del dubbio che gli lacera il cuore, Joseph vivrà un'angosciosa prigionia, nell'assurdo di strani episodi che non riesce a spiegarsi, nell'abbandono di chi avrebbe potuto aiutarlo, nell'incomprensione di una giustizia che sembra scagliargli contro una spada e poi sembra farsi beffe di lui ignorandolo... Quale accusa? Non lo saprà mai, non capirà nulla, ma l'indifferenza dei giorni si confonde con l'angoscia di poter scoprire una macchia nella propria vita, si vede vivere dall'esterno di se stesso, ed è così che la nebbia si impadronisce di lui, e lui comprende, lo riconosce e l'accetta. E' colpevole ora lo sa.
Lo vengono a prendere due agenti del tribunale, lo conducono ad una cava. Joseph lo sa cosa cercano. Le sue ultime parole: " ...come un cane". Una coltellata ed una squallida morte.
I due agenti svolgono il loro incarico come fosse una faccenda quotidiana e banale, la vita strappata via nel modo assurdo che le spetta.
Ma perchè? Esiste davvero una colpa? Siamo tutti colpevoli, dice Camus, perchè la nostra colpa è esistere per come siamo. E nessuno è degno di ergersi a tribunale e giudice di nessun altro. E' l'amaro destino degli uomini che possono trovare un'unica via, stringendosi l'un l'altro e rivoluzionare la storia triste che spetta all'umanità intera, per il semplice fatto di esserci.
La speranza c'è sempre per gli uomini, che possono mutare la propria sorte... provando a volersi bene.


Il viaggio di The Wall si conclude qui...


...tra le macerie del muro che non abbisogna più delle lettere maiuscole. Distruggiamo le nostre gabbie, e diamo libero volo ai nostri sentimenti, perchè si soffre, si gioisce, è giusto o è sbagliato, ma quelle emozioni sono la VITA.
Sentivo il bisogno di parlarne tutto d'un fiato da qualche giorno, perchè il silenzio che stringeva la mia gola era dovuto alla paura che ho di vivere i miei sentimenti anche attraverso le apparentemente stupide parole di questo blog. Soffrirò, sarò felice, non mi importa, io voglio vivere. Ed è vero che l'arte può essere un muro che aliena dal mondo, ma non è solo questo; io non sono un artista, non ho la pretesa di esserlo più di quanto non lo possa essere chiunque, ho solo un cuore che sanguina i miei sentimenti, e le mie parole, i miei pensieri, se non sono arte e qualunque cosa siano... sono un dono d'amore.

L'ultimo brevissimo brano di The Wall è Outside The Wall, di cui non esiste un video su You Tube e ne riporto qui solo l'audio e la mia libera traduzione del testo.
Anche se dei muri possono sorgere in noi, coloro che ci vogliono bene passeggiano là fuori, raggiungiamoli, ed abbiamo il coraggio di riuscire a guardare la vita che ci aspetta fuori dal muro.


Outside the wall












Da soli, o in coppia,
Gli unici che realmente ti amano
Passeggiano su e giù fuori dal muro.
Alcuni mano nella mano
Altri insieme in comitive d’amici.
I cuori sanguinanti e gli artisti
oppongono resistenza al muro.
E quando ti avranno dato tutto
Alcuni barcolleranno e cadranno,
Dopo tutto non è facile, sbattere il cuore

Contro il muro di un folle.



Waters




I testi di The Trial e Outside the wall potete leggerli in: www.pink-floyd.it/testi/home.htm

La canzone "The Trial" è stata scritta da Roger Waters e Bob Ezrin.

Le riflessioni successive sono tratte da: F. Kafka, Il Processo, ed. Mondadori - A. Camus, La Caduta, ed. Bompiani - A. Camus, La peste, ed. Bompiani.


STOP!!!

BASTA!!!

Voglio tornare a casa...

  Gettar via questa uniforme nera

E abbandonare lo show

Ed ora sto aspettando in questa cella...

Perché ho bisogno di sapere

Se sono stato colpevole per tutto questo tempo.



Uno di quei giorni da affogare nelle lacrime... uno di quei momenti in cui vorresti essere divorato dai lupi, quelli che hai sempre guardato come fratelli di ombra e bosco. Non è un atto di uno spettacolo interrotto dai fischi, non è un "MI cantino" che ti si flagella in faccia mentre percuoti con furia quelle sei corde d'acciaio. Non è il rigetto tuonante di una preghiera restituita con sarcasmo all'indegno mittente. I tuoni sanno essere delicati e potrebbero fracassare un timpano mentre allo stesso tempo assecondano il delirio. Sanguinano le orecchie che non riescono ad ascoltare lo strazio che si solleva dalla cenere ancora rovente, disseminata alle tue radici. Il tuo cuore assomiglia al caleidoscopio d'una mente in fuga dagli affetti che non hai mai incontrato oltre l'illusione, che a guardarci dentro generebbe colori sconosciuti agli iridi umani, ma è un pozzo troppo profondo per giungerci scandagliando quel buio con occhi non sinceri. Alcor, sei un Pazzo Diamante, che brilla invano, ché la tua voce si mescola a parole meravgliose ed inutili, perchè non ci saranno cuori disposti ad accoglierle. Il tuo è urlo muto, inascoltato. Nessun posto nell'Eden, amico mio. Sto recitando di spalle, non rivolgo il mio sguardo al disprezzo, non parlo, attendo senza proferire fiato. Il tempo non passa, ed io resisto. Cerco parole e pensieri che non mi confondano con i sentimenti che mi allietano, che desidero, che amo. Gli unici che possano salvarmi insieme al suo sguardo. Vorrei viverci dentro, con tutto me stesso in quell'incanto. E' che quel
tempo non passa, ed io non so se riesco a resistere. Ed intanto una furia strisciante s'innesca e tento di strappare le catene che mi inchiodano al muro, alla scatola. Chiusa, la scatola senza mai guardarci dentro. Voglio uscire via! Mi sanguinano i polsi, ed io ho il terrore del sangue. C'è una colpa per tutto questo, c'è ed io aspetto il giudice che venga a vomitarmela in faccia. Correrò lungo il molo per salvare una bambina che muore e mi spegnerò prima di assaporare il gusto di sciogliermi nel sale marino, e non evaporerò mai. Attendo, e sento i passi dei mandatari del tribunale dell'assurdo. Mi stringeranno nelle loro luride spalle e senza guardarmi negli occhi faranno esplodere la loro rivoltella alla mia tempia.
Nulla avrebbe un senso, apparentemente non c'è colpa... ma io sono stato citato, e presto eseguiranno la sentenza, attendo il processo...

Nell'immagine: Joe Reese, Angoscia, particolare. I versi sono una mia traduzione di "Stop", R. Waters, The Wall, testo originale in  www.pink-floyd.it/testi/home.htm


 

The Wall - In the Flesh? - Run Like Hell - Waiting for the Worms

Devo continuare, devo liberarmi da quest'ossessione, comodamente insensibile, avendo scaraventato i miei inutili resti mortali dinanzi alla scrivania a covare rabbia... devo giungere all'epilogo, devo ritrovare un varco nel MURO, perchè questo non può far altro che scatenare l'odio nell'anima ed io non ce la faccio a trattenerlo. Siamo tornati al punto di partenza, l'artista è dinanzi al suo pubblico che è pronto a fare qualsiasi cosa per lui. E' osannato da un mare di volti ricoperti da maschere, che  lo invocano sollevando ed incrociando i polsi quasi ad implorare una detenzione ed un castigo... dopo che si è liberato dalle sue umane spoglie è pronto per accendere la violenza e rivoltarla verso tutto quello che detesta. Repressione, distruzione, una marcia di martelli pronta ad opprimere ogni moto del cuore che possa ostentare un breve accenno di vita. Aspettando i Vermi, ossia i fascisti. Non c'è spazio adesso per la vita adesso, ma solo intolleranza, repulsione, razzismo. La frustrazione interiore del MURO che genera il ripudio per l'umanità intera, dittaura, oppressione, il male assoluto.
Ma tu sei un cuore che sanguina, e stai vivendo uno show che non è il tuo... vuoi soltanto conoscere, capire dov'è incorso l'errore...
Lo urla Pink alla fine, lo urla... mentre attende i vermi che lo divorino come fosse solo una carcassa svuotata d'umanità... Basta, Basta!... BASTAAA!!!



In the flesh?
So ya
Thought ya
Might like to
Go to the show
To feel the warm thrill of confusion
That space cadet glow
I've got some bad news for you sunshine
Pink isn't too well he stayed back at the hotel
And they sent us along as a surrogate band
And we're going to find out
Where you fans really stand!
Are there any queers in the theatre tonight?
Get 'em up against the wall
There's one in the spotlight
He doesn't look right to me
Get him up against the wall
That one looks jewish
And that one's a coon
Who let all this riff raff into the room
There's one smoking a joint and
Another with spots
If I had my way
I'd have all of you shot



Run like hell
You better run like hell
You better make your face up in
Your favourite disguise
With your button down lips
And your roller blind eyes
With your empty smile
And your hungry heart
Feel the bile rising from your guilty past
With your nerves in tatters
When the cockleshell shatters
And the hammers batter
Down the door
You better run like hell
You better run all day
And run all night
And keep your dirty feelings deep inside.
And if you take your girlfriend out tonight,
You better park the car well out of sight
'Cos if they catch you in the back seat
Trying to pick her locks
They're gonna send you back to mother
In a cardboard box
You better run.


Waiting for the worms
You cannot reach me now
No matter how you try
Goodbye cruel world it's over
Walk on by
Sitting in the bunker here behind my wall
Waiting for the worms to come
In perfect isolation here behind my wall
Waiting for the worms to com
Waiting to cut out the deadwood
Waiting to clean up the city
Waiting to follow the worms
Waiting to put on a black shirt
Waiting to weed out the weaklings
Waiting to smash in their windows
And kick in their doors.
Waiting for the final solution
To strong then the strain
Waiting to follow the worms
Waiting to turn on the showers
And fire the ovens
Waiting for the queers and the coons
and the reds and the jews
Waiting to follow the worms
Would you like to see Britannia
Rule again my friend
All you have to do is follow the worms
Would you like to send our coloured cousins
Home again my friend
All you need to do is follow the worms









The Wall - Comfortably Numb

Abbandonato su quella maledetta poltrona, ti sei completamente perso... ma tu sei una rock star Pink, hai firmato dei contratti, non puoi restare un nulla, hai un'esistenza da condurre. Eccoli li senti? Stanno venendo a prenderti, ti riempiranno di farmaci per consentirti di continuare lo show, e piano piano, mentre ti trascineranno via, ti scioglierai come una maschera di cera e resterai piacevolmente insensibile, pronto a scatenare fuori il male che hai accumulato, sputerai in faccia a coloro che ti acclameranno, e il tuo muro genererà un odio incondizionato verso il mondo, che si tradurrà in un rapporto fascista con l'esteriorità. Un martello nero che reprime fuori e dentro ogni forma di sentimento umano.
Ma tu non stai soffrendo adesso Pink, stai soltanto regredendo, ti ricordi? Non fa poi così male...
 




Piacevolmente Insensibile
Hello,
Is there anybody in there?
Just nod if you can hear me
Is there anyone at home
Come on now,
I hear you're feeling down
I can ease the pain
And get you on your feet again
Relax
I'll need some information first
Just the basic facts
Can you show me where it hurts
There is no pain, you are receding
A distant ship smoke under the horizon
You are only coming through in waves
Your lips move but I can't hear what you are saying
When I was a child I had a fever
My hands felt just like two balloons
Now I've got that feeling once again
I can't explain, you would not understand
This is not how I am
I have become comfortably numb -
O.K.
Just a little pin prick
There'll be no more aaaaaaaah!
But you may feel a little sick
Can you stand up?
I do believe it's working, good
That'll keep you going through the show
Come on its time to go.
There is no pain, you are receding
A distant ship smoke under the horizon
You are only coming through in waves
Your lips move but I can't hear what you are saying
When I was a child
I caught a fleeting glimpse
Out of the corner of my eye
I turned to look but it was gone
I cannot put my finger on it now
The child is grown
The dream is gone
And I have become
Comfortably numb





Written by Roger Waters & David Gimour




The Wall - Vera! - Bring the Boys Back Home

- Vera! Vera! - Potrei chiamarla anch'io, ma pochi sanno perchè, e non so neanche se questi lo ricordano. Anche se qui il senso è diverso... La regressione fanciullesca è oniricamente trasportata in una stazione dove ritornano a casa i reduci della guerra, non cercare tuo padre tra quelli Pink, tuo padre non è tra coloro che ritornano.
Bring the boys back home è un coro univoco di voci contro la guerra...



Vera! - Riportate i ragazzi a casa
Does anybody here remember Vera Lynn?
Remember how she said that
We would meet again
Some sunny day
Vera! Vera!
What has become of you?
Does anybody else in here

Feel the way I do



Bring the boys back home
Bring the boys back home!
Bring the boys back home!
Don't leave the children on their own
Bring the boys back home!