lunedì 31 dicembre 2007

Un gran finale sotto il cielo d'Orione





Hai bucato la mia vita


Leggere e rileggere quel che si scrive per scegliere sempre le parole più giuste. Sforzarsi di incamerare pensieri espandibili dai tratteggi indistinti, in queste parole che assomiglieranno comunque a confusi graffiti dell'anima su una pagina nivea.
Ed intanto siamo agli sgoccioli di questo anno. Sta andando via uscendo dalla porta di servizio; ha l'impermeabile stretto col bavero sollevato al collo circonciso dalla sciarpa nera che ondeggia ai passi, lasciando cadere  piccolissimi batuffoletti di cotone, o di qualsivoglia fibra chimica ivi presente.
Ha un ombrello a scatto che lo riparerà dalla pioggia di quel che gli cadrà addosso, di cianfrusaglie e pensieri che non occorre più celarsi dentro.
Qui i mattini sono gracili latori di tepore e mitezza, ma la notte mantiene sempre le promesse gelide dell'inverno, e stanotte non sarà da meno. Perciò amico mio che verrai con me, accertati bene che i  guanti di pelle nera aderenti, internamente foderati da un finissimo strato di lana bianca, siano ben infilati sulle tue dita.
E non bagnare i tuoi capelli per consentire alla tua chioma allungata di cadere più morbida ai lati del tuo capo.
Verranno a prendermi, come lascio che sia sempre in queste ricorrenze, e risalirò in un auto non mia le colline a nord-est. Là, dove dovrebbe impattare il vento. E' un posto splendido, un risucchio dall'album dei ricordi dove si raccolgono le immagini di luoghi cari senza età.
No amico no, non fumo, grazie lo stesso. Preferirò concentrarmi sulle immagini di questa notte e nelle promesse che ogni volta siamo soliti proferire, incuranti che ogni mezzanotte, ogni attimo è l'occasione per rivoluzionare tutto completamente. Che se il tempo e la vita sono una sterminata pianura, l'infinito è una circonferenza senza confini e con il centro in ogni luogo. Il luogo dove io e te siamo e saremo. Questa è la notte non dei ricordi, né dei consuntivi, e nemmeno delle illusioni. L'altra sera eri con me, e li guardavi come me in uno estraniante silenzio... ad un certo punto sembrava che fossero tutti scomparsi e invece rieccoli lì, ciascuno con le proprie storie ed i propri perché, ciascuno in sè, incurante di esserci, ma così incosapevolmente felice.
E stanotte ognuno avrà l'impressione di allacciare il proprio destino al rimorchio della sorte del mondo. Mentre lo siamo sempre stati, tu, io, e chiunque alla luce dei lanternini che scorgiamo dall'altura, brinderà al futuro. Io amo il verbo futuro. Perché etimologicamente "futuro" non è che una perifrastica del verbo sum, "sono", colui che sto per essere, sarò... e che tra un attimo già sono, che non aspetto perché lo sarò comunque... mi piace giocare nei pensieri che sguazzano tra il latino e la matematica.
Ci siamo sempre stati, anche a migliaia di anni luce di distanza, possiamo guardare lo stesso cielo nello stesso istante, disegnando una parallasse nella notte che ci può unire... no, non stavo dicendo a te, amico mio... non ci sei soltanto tu. Anzi, tu non ci sei un granché, per quanto dovresti essermi prezioso, ci sei stato pochissimo. Perché t'ho abbandonato ogni volta che una gazza ladra veniva a rapirti. Ma che vuoi farci, non impariamo mai davvero sino alla fine la lezione, e spesso preferiamo tornarcene a casa prima della prova.
Sono proprio felice oggi. Anche se non sarei dovuto essere qui dove sarò tra breve e che sto prefigurando in questo pendolo della mente che viene e che va. Ti guardo amico mio, e guardo ai casini che hai combinato in questi ultimi giorni. Alle persone che hai fatto piangere pur restando immobile e zitto quando t'hanno confessato che anni fa' c'era persino chi ti dedicava lacrime e versi carichi di sentimento, senza che tu comprendessi nulla. A chi ha osato smuovere il trespolo alla base dei tuoi piedi e su cui montava quell'orgoglio fasullo, che è poco più d'una stampella. Agli abbracci insperati di chi oramai disperavi di aver lasciato su un battello arenato su un melodioso fiume dell'europa orientale. Di tutto questo narrerà stanotte, che potrebbe anche apparire un punto alla fine di un racconto, ma domani ci sarà sempre un'altra storia a tirarti per le maniche della giacca. Aspettando chi magari appoggia le braccia stanche su un davanzale ai bordi d'una finestra che è molto di più d'una vetrina sospesa su quel che indugia tra l'animo e il mondo così avverso, provando a cercare qualcosa lassù dove tu non tramonti, e riavvolgendo nastri di pensieri che provino a riappacificare la notte. E forse mentre tu vecchio mio lasci che la tua vita sia bucata come la notte è bucata dai fori stellari da cui gocciola in terra il sommo amore, raccogli tutto questo sogno che cola stanotte dal cielo d'Orione, e portalo a casa con te. E non importa che possa essere solo polvere cosmica tra gli astri, c'è abbastanza luce per dipingervi i contorni di una speranza.

Buon Anno, a chi attende se stesso, a chi sogna, a chi non ne ha il coraggio o la consapevolezza. A chi fuori e dentro di me sa determinare il volto del mio sorriso e della mia delusione, come lo specchio che decide il sembiante con cui mi presento agli occhi  del mondo. A chi non c'è ma avrebbe voluto, e trova impossibile immaginare un futuro diverso dall'abitudine e dalle sorprese che richiedono una forte dose di incoscienza e instinto, oltre ogni schema. A chi non sa di essere importante... a chi non sa di essere una stella che può illuminare l'oceano sconfinato. A chi si sta cercando, a chi si troverà domani, a chi non è più nulla di quel che era ieri. A chi non dimentica, e a chi farebbe meglio a muoversi a dimenticare, a chi non si lascia afferrare dalla vita, a chi se ne fa travolgere smarrendosi; a chi per una parola mi ha trovato, a chi per una parola mi ha abbandonato lasciando una lacrima sul mio cuore. A chi mi sa rendere felice, e a chi mi ha tradito... A tutti che siete parte di un continente e partecipi della sua deriva verso il "futuri sumus", perché nessuno è un'isola, neanche se stanotte preferirà star sola, come la stella del vespro ai bordi del tramonto.

sabato 29 dicembre 2007

Pigs on the Wing





Pink Floyd - Pigs on the Wing




You know that I care what happens to you
And I know that you care for me too
So I don't feel alone
Or the weight of the stone
Now that I've found somewhere safe
To bury my bone
And any fool knows a dog
needs a home
A shelter from pigs on the wing


Roger Waters
Pink Floyd, Animals, 1977




Lo sai che mi prenderò cura di quel che ti succede
E so che anche tu tieni a me
Per cui non avverto la solitudine
O il carico del fardello
Ora che ho un posto sicuro
per seppellire il mio osso
Ma anche i matti sanno che anche un cane
ha bisogno di una casa,
un riparo dai maiali in volo.



venerdì 28 dicembre 2007

Autoritratto



"...Come vede, nella mia vita non c'è niente che meriti di essere rilevato: è tutta interiore, nel mio lavoro e nei miei pensieri che... non sono lieti.



Io penso che la vita è una molto triste buffoneria, poiché abbiamo in noi, senza poter sapere né come né perché né da chi, la necessità di ingannare di continuo noi stessi con la spontanea creazione di una realtà (una per ciascuno e non mai la stessa per tutti) la quale di tratto in tratto si scopre vana e illusoria.



Chi ha capito il giuoco, non riesce più a ingannarsi; ma chi non riesce più a ingannarsi non può più prendere né gusto né piacere alla vita.



Così è. La mia arte è piena di compassione amara per tutti quelli che si ingannano; ma questa compassione non può non essere seguita dalla feroce irrisione del destino, che condanna l'uomo all'inganno. Questa, in succinto, la ragione dell'amarezza della mia arte, e anche della mia vita..."


Luigi Pirandello, Autoritratto




Sono giorni in cui prendo le mie parole, raccolgo i miei salubri silenzi, e porto tutto a casa. Accanto a me. Così le placche del mio cerebrale mantello sussultano senza sviluppare bradisismi vocali e turbolenze verbali. Così si scuote meno aria, e la polvere pirica non infiamma le mie dita dedite al racconto. Così il sisma però non si dilegua. Perdura. E ha diritto alla sua quotidiana razione di fuga dalla quiescienza nella quale lo ricaccio a stento. E devo adombrarmi, dietro le spoglie mnemoniche dei miei eletti. Dietro parole non mie che ricalcano i miei medesimi pensieri. Quando non fluisce abbastanza senno, e sentimento. Quando si è capito il gioco, e non è più la stessa storia. Un'altra storia, per mutuare una normale espressione a me preziosa. Emblema di un tempo, d'una treccia di fili d'oro, ricordi e pensieri.
Sto dipingendo un'ombra che eclissa il sole. Sto dipingendo una mistura di ciò che mi manca e ciò che non ho mai conosciuto, sto dipingendo una voce ed un silenzio, sto dipingendo i contorni di qualcosa che attendo e che vive dentro di me e nella mia mente, come forse non esiste neanche così come vien fuori dalla mia penna. Sto idealizzando le negazioni d'un età mai semplice, anche durante i giorni di risate e bravate. Sto idealizzando una fuga dalle strade diritte che si snodano tra viadotti impervi e curve accecate dalla foga di arrivare. Sto idealizzando un viaggio senza punto d'incontro oltre la speranza. Sto imparando a conoscere mondi di cui non colgo gli accenti e le abitudini. Spogliandomi dalla crosta e dalla placenta ardente che m'ha incastonato al carbone, impedendomi di splendere come un diamante pazzo.
Sto dipingendo qualcosa che neanche osservo accanto al mio esistere brullo e scontato all'apparenza di chi non ha mai scavato nel comprendere cosa scorresse in quell'invaso, se fosse il triste Stige, o il fulgente Lete. Sfolgorante dimenticanza che tutto rasserena e placidamente rinnova nell'incoscienza di sé.


Sto dipingendo, qualcuno o qualcosa non ancora l'ho chiaro dentro; se ha i contorni di un eterno esterno o di un giorno nuovo. Se m'appartiene o se l'osservo allontarsi ancor, o gemer nei miei notturni insonni, all'eco d'un ugual bisbiglio della vita al mio sordo intento. Quel che si ritrae al sol per non patir di quel calor l'assenza. La sembianza di quel soverchio sentir su tutto il resto, in un ristoro che scandisce in coro, il ritmo del mio canto e del mio abbandono. E non so perché e per cosa s'addormentano questi giorni, quel che dà per gli occhi una dolcezza al core, che 'ntender no la può chi no la prova. Il mio sentir, a questo stormir di voci, ratto s'apprende. E quel ch'io vi vedrò i gatti lo sapranno. 



giovedì 27 dicembre 2007

I gatti lo sapranno




Ancora cadrà la pioggia
sui tuoi dolci selciati,
una pioggia leggera
come un alito o un passo.
Ancora la brezza e l'alba
fioriranno leggere
come sotto il tuo passo,
quando tu rientrerai.
Tra fiori e davanzali
i gatti lo sapranno.


Ci saranno altri giorni,
si saranno altre voci.
Sorriderai da sola.
I gatti lo sapranno.
Udrai parole antiche,
parole stanche e vane
come i costumi smessi
delle feste di ieri.


Farai gesti anche tu.
Risponderai parole
viso di primavera,
farai gesti anche tu.


I gatti lo sapranno,
viso di primavera;
e la pioggia leggera,
l'alba color giacinto,
che dilaniano il cuore
di chi più non ti spera,
sono il triste sorriso
che sorridi da sola.


Ci saranno altri giorni,
altre voci e risvegli.
Soffieremo nell'alba,
viso di primavera.


 Cesare Pavese, da Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, 1950.



mercoledì 26 dicembre 2007

Il Battello Ebbro


Poiché discendevo i Fiumi impassibili,
mi sentii non più guidato dai bardotti:
Pellirossa urlanti li avevan presi per bersaglio
e inchiodati nudi a pali variopinti.

Ero indifferente a tutti gli equipaggi,
portatore di grano fiammingo e cotone inglese
Quándo coi miei bardotti finirono i clamori
i Fiumi mi lasciarono discendere dove volevo.

Nei furiosi sciabordii delle maree
l'altro inverno, più sordo d'un cervello di fanciullo,
ho corso! E le Penisole salpate
non subirono mai caos così trionfanti.

La tempesta ha benedetto i miei marittimi risvegli.
Più leggero d'un sughero ho danzato tra i flutti
che si dicono eterni involucri delle vittime,
per dieci notti, senza rimpiangere l'occhio insulso dei fari!

Più dolce che ai fanciulli la polpa delle mele mature,
l'acqua verde penetrò il mio scafo d'abete
e dalle macchie di vini azzurrastri e di vomito
mi lavò, disperdendo àncora e timone.

E da allora mi sono immerso nel Poema
del Mare, infuso d'astri, e lattescente,
divorando i verdiazzurri dove, flottaglia
pallida e rapida, un pensoso annegato talvolta discende;

dove, tingendo di colpo l'azzurrità, deliri
e lenti ritmi sotto il giorno rutilante,
più forti dell'alcol, più vasti delle nostre lire,
fermentano gli amari rossori dell'amore!
   
Conosco i cieli che esplodono in lampi, e le trombe
e le risacche e le correnti: conosco la sera
e l'Alba esaltata come uno stormo di colombe,
e talvolta ho visto ciò che l'uomo crede di vedere!

Ho visto il sole basso, macchiato di mistici orrori,
illuminare lunghi filamenti di viola,
che parevano attori in antichi drammi,
i flutti scroscianti in lontananza i loro tremiti di persiane!

Ho sognato la verde notte dalle nevi abbagliate,
bacio che sale lento agli occhi dei mari,
la circolazione di linfe inaudite,
e il giallo risveglio e blu dei fosfori cantori!

Ho visto fermentare enormi stagni, reti
dove marcisce tra i giunchi un Leviatano!
Crolli d'acque in mezzo alle bonacce
e in lontananza, cateratte verso il baratro!

Ghiacciai, soli d'argento, flutti di madreperla, cieli di brace!
E orrende secche al fondo di golfi bruni
dove serpi giganti divorati da cimici
cadono, da alberi tortuosi, con neri profumi!

Quasi fossi un'isola, sballottando sui miei bordi litigi
e sterco d'uccelli, urlatori dagli occhi biondi.
E vogavo, attraverso i miei fragili legami
gli annegati scendevano controcorrente a dormire!

Io, perduto battello sotto i capelli delle anse
scagliato dall'uragano nell'etere senza uccelli,
io, di cui né Monitori né velieri Anseatici
avrebbero potuto mai ripescare l'ebbra carcassa d'acqua

libero, fumante, cinto di brume violette.
o che foravo il cielo rosseggiante come un muro
che porta, squisita confettura per buoni poeti,
i licheni del soie e i moccoli d'azzurro;

io che correvo, macchiato da lunule elettriche,
legno folle, scortato da neri ippocampi,
quando luglio faceva crollare a frustate'
i cieli oltremarini dai vortici infuocati;

io che tremavo udendo gemere a cinquanta leghe
la foia dei Behemots e i densi Maelstroms,
filando eterno tra le blu immobilità,
io rimpiango l'Europa dai balconi antichi!

Ho veduto siderali arcipelaghi! ed isole
i cui deliranti cieli sono aperti al vogatore:
E’ in queste notti senza fondo che tu dormi e ti esìli,
milione d'uccelli d'oro, o futuro Vigore?

Ma è vero, ho pianto troppo! Le Albe sono strazianti.
Ogni luna è atroce ed ogni sole amaro:
l'acre amore m'ha gonfiato di stordenti torpori.
Oh, che esploda la mia chiglia! Che io vada a infrangermi nel mare!

Se desidero un'acqua d'Europa, è la pozzanghera
nera e fredda dove verso il crepuscolo odoroso
un fanciullo inginocchiato e pieno di tristezza, lascia
un fragile battello come una farfalla di maggio.

Non ne posso più, bagnato dai vostri languori, o onde,
di filare nella scia dei portatori di cotone,
né di fendere l'orgoglio di bandiere e fuochi,
e di nuotare sotto gli orrendi occhi dei pontoni.


Arthur Rimbaud

domenica 23 dicembre 2007

Auguri

Cari amici per qualche giorno non credo che scriverò su questo blog, ergo auguro a tutti i passanti di trascorrere un Natale sereno; volevo parlare di un'opera teatrale famosissima relativa al Natale, ma lo faccio dopo la festa, almeno nun c'i 'ntussicamm Natale... intanto un assaggino... Auguri a tutti.






Eduardo De Filippo, Natale in casa Cupiello, II Atto.

Mappa del cielo - Roma 24/12/2007 ore 00:00

Il cielo della vigilia, anche se non vedo comete... la Holmes se ne sta andando...

venerdì 21 dicembre 2007

Lampo di vita


L'ho già detto, non faccio bilanci, questo perchè le date convenzionali non fanno altro che tracciare confini  tra terre che non hanno padroni, perchè il possesso altro non è che un calmiere illusorio di un avido egoismo. E anche se voglio smettere di raccontarmelo e voglio persistere nel proseguire incurante di quello che succede, il domani continua a rappresentare una scusa all'incapacità dell'oggi. Così anche il giorno 1 dipinto di rosso sul nuovo calendario da tavolo che da qualche giorno ha preso il posto del vecchio sulla mia scrivania, che si avvicina, per me non avvicina alcunchè: il cielo avrà sempre lo stesso colore, in mesopotamia le cifre potrebbero essere diverse, e la vita è sempre in corsa sullo stesso binario.

Disfattismo? Rassegnazione? Indifferenza? Niente di tutto questo, eppure un po' di tutto messo insieme. Come ogni cosa che tende a bollare una realtà, come ad esempio i nomi, il capodanno l'ho sempre guardato con aria truce. Perchè per tanto tempo mi sembrava solo una buona occasione per giustificare una sbornia. Un anno eravamo a casa di un'amica, tanto tempo fa', e il tasso di malcontento celato mi era sì così innalzato che dovetti accusare la cena di radioattività per poter trascorrere in santa pace un po' di tempo rinchiuso da solo nel bagno, a guardarmi in faccia per deridermi un po'.
Prima di decidere di andare a trovare un amico che lì vicino trascorreva quella notte da solo con una fender stratocaster, una bottiglia di birra, ed una canna. Ascoltando Echoes, e quelli sì che sono momenti da ricordare...
Forse quell'insoddisfazione in matrice Siddharta mi ha spinto poi a trascorrere gli ultimi 4 capodanno in stile canuto marito disperato cinquantenne dalle palle fracassate a rischio di impotenza precoce (causa eccesso di palle fracassate), rincorrendo capricci, litigi, disorganizzazioni e l'estrema patetica esigenza di dover per forza fare qualcosa in quella notte perchè ce lo dettava uno stupido calendario, nonostante poteva anche non fregarci un accidenti di niente.
Ma questa volta no, questa volta non mi frega veramente un cavolo...
Questa volta invidio sul serio il chitarrista ambulante, e chissà se non sarebbe ora di prendere la mia folk e andare ad ambulare un po'.
Eppure in questi ultimi rivoluzionari mesi della mia vita, una specie di vorticoso frullato esistenziale mi ha completamente rivoltato la vita come un calzino, illudendomi che qualche finestra di nuovo potrebbe esserci. Tutto sta nel trovare il coraggio per affacciarsi e non soffrire di vertigini, perchè io soffro maledettamente di vertigini...
Mi restano ricordi che accellerano verso una progressiva sfumante presenza che rappresenta un fardello che la mia mente associa fin troppo alle strette vie di questo dannato paese che credevo di essermi finalmente lasciato alle spalle. Invece l'infame destino che mi consentirà di fare quello che volevo davvero con tutto il cuore nella mia vita, esige un prezzo soggetto ad un'inflazione esponenziale, quello di dover restare chissà per quanti altri anni inchiodato qua. A questa poltrona collinare che puzza di vecchio anche quando ci passi la seconda mano di grasso di foca.
Un confine io l'ho vissuto dentro, ed è stato un confine tremendamente duro, una frontiera infuocata dove cavalcavano bisonti accecati dalla rabbia... e raramentre ho fatto accenno a quello che mi son lasciato alle spalle in questo blog.
A quella terra lontana dedico un pensiero, ne dedico tanti durante la mia giornata che cerco di ingolfare con impegni e casini, ma sfumano lentamente i contorni di una persona che ero e che non ho mai conosciuto. E dedico un pensiero a chi non c'è in questo nuovo sentiero... una strada dove non stringo alcuna mano, ma in cui riesco a sentire di avercela una mia di mano...



A quel tempo ero solo un ragazzo che stava cambiando la pelle
non ero padrone di niente ero un angelo fragile e ribelle
a scuola me ne fregavo dei voti non volevo essere giudicato
ma quanto entusiasmo che avevo e quanta voglia di imparare a volare

e che voglia di stare ad ascoltare e conoscere tutte le cose
ma i professori non insegnano niente bisogna sempre fare da soli
volevamo imparare a fregare il dolore
essere felici imparare l’amore

chissà se tu sei cambiata
chissà dove sei finita
in questo lampo di vita
chissà se sei stata amata

chissà se quella ferita
chissà se poi è guarita
in questo lampo di vita
chissà se ti sei salvata

a quel tempo eri una ragazza nascosta tra i capelli e gli occhiali
un angelo ingenuo e ribelle che provava ad aprire le ali

e chissà se hai imparato a fregare il dolore
se sei felice se hai imparato l’amore

chissà se tu sei cambiata
chissà dove sei finita
in questo lampo di vita
chissà se sei stata amata

chissà se la tua ferita
chissà se poi è guarita
in questo lampo di vita
che ci sembrava infinita

Luca Carboni, Lampo di Vita

 

giovedì 20 dicembre 2007

Come ombre...





Pink Floyd - Marooned



[...] No man is an island.  entire of itself; every man is a piece of the continent, a part of the main; if a clod be washed away by the sea, Europe is the less, as well as if a promontory were, as well as if a manor of thy friend's or of thine own were;  any man's death diminishes me, because I am involved in mankind, and therefore never send to know for whom the bell tolls; it tolls for thee [...]

John Donne, Meditation XVII - 
Devotions Upon Emergent Occasions

"Nessun uomo è un'isola, intero per se stesso. Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte della terra. Se una zolla viene portata dall'onda del mare, l'Europa ne è diminuita, come se un promontorio fosse stato al suo posto, o una magione amica, o la tua stessa casa. Ogni morte di uomo mi diminuisce perché io partecipo dell'umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te."

lunedì 17 dicembre 2007

Il cuore rivelatore (E. A. Poe)






E' vero! Sono e sono sempre stato nervoso, molto, spaventosamente nervoso; ma perchè dite che sono pazzo? La malattia ha acuito i miei sensi, ma non li ha  distrutti, non li ha soffocati. Come può essere dunque che io sia pazzo? Ascoltatemi! È impossibile dire come l'idea mi sia entrata per la prima volta nel cervello.
Scopo non ne avevo. Odio neppure. Non mi aveva mai fatto del male.  Non mi aveva mai insultato. Non desideravo il suo oro. Credo fosse il suo occhio! Sì, fu proprio così! Aveva l'occhio di un avvoltoio, un occhio pallido, azzurro, coperto di una pellicola. Ogni volta che esso si posava su di  me il mio sangue si raggelava, e così per gradi, oh, per gradi molto lenti, io  decisi di togliere la vita al vecchio, e sbarazzarmi così per sempre di  quell'occhio.   
Mai fui così gentile col vecchio. E ogni sera, verso mezzanotte, giravo il paletto della sua porta e aprivo l'uscio... oh, come piano! E poi, una volta ottenuta un'apertura sufficiente perchè la mia testa potesse a passarvi, mettevo dentro una lanterna cieca, tutta chiusa, ben chiusa, in modo  che non ne uscisse nessuna luce, e poi spingevo innanzi il capo. Oh, avreste riso nel vedere con quanta furberia lo insinuavo nell'apertura! Lo muovevo lentamente, in modo da non disturbare il sonno del vecchio. Mi ci voleva un'ora intera per far passare tutta quanta la testa entro la fessura in modo da poterlo vedere mentre giaceva sul letto. Poi, quando tutta la mia testa era entrata nella stanza, scoprivo la lanterna cautamente, la scoprivo giusto quel tanto che mi permetteva di far cadere un unico sottile raggio sull'occhio d'avvoltoio. E questo feci per sette lunghe notti, esattamente ogni notte a mezzanotte, ma trovavo l'occhio sempre chiuso, cosicché mi era impossibile compiere la mia opera, poiché non era il vecchio che mi irritava ma il suo Occhio Maligno. L'ottava sera fui più cauto del solito nell'aprire la porta. Stentavo a trattenere la mia sensazione di trionfo. Pensare che io ero lì, ad aprire la porta a poco a poco, senza che egli neppure lontanamente sospettasse le mie azioni o i miei pensieri segreti. Per poco non mi misi a sogghignare, e forse egli mi intese, poiché ad un tratto si mosse sul letto, quasi risvegliato di soprassalto. Ma forse ora crederete che io arretrassi... ma non fu così. La sua stanza fittamente immersa nelle tenebre era nera come la pece: perciò ero certo che non mi potesse vedere nell'atto di aprire l'uscio, e seguitai quindi a spingere la maniglia in avanti, sempre più in avanti, senza esitazioni.
Già avevo messo dentro la testa, e stavo per aprire la lanterna, quando il mio pollice scivolò sul gancetto di metallo, e il vecchio balzò a sedere sul letto gridando: - Chi è là?
Rimasi perfettamente immobile e non proferii sillaba: durante un'ora intera non mossi un solo muscolo, eppure in tutto quel tempo non lo intesi riadagiarsi. Era sempre a sedere sul letto in ascolto... esattamente come avevo fatto io, notte per notte, mentre ascoltavo gli orologi della morte rintoccare sulla parete.
Infine avvertii un gemito sommesso, e compresi che era un gemito di terrore mortale. Non era né un gemito di sofferenza né un gemito di dolore, oh, no! Era l'ansito soffocato, contenuto, che si leva dal fondo dell'anima allorché  questa è sopraffatta dalla paura. Capivo quel che il vecchio sentiva, e avevo pietà di lui, benché dentro di me sghignazzassi. Da quel momento i suoi timori non avevano fatto che crescere entro di lui. Doveva aver tentato di giudicarli senza motivo, ma non gli era stato possibile. Certo si era detto: "Deve essere semplicemente il vento nel camino... oppure un topo che attraversa il pavimento", oppure: "forse soltanto un grillo che ha trillato un'unica volta". Sì, certo doveva essersi confortato con queste supposizioni, ma doveva averle trovate tutte inutili: perchè la Morte, avvicinandosi a lui, era venuta avanzando entro la sua nera ombra e aveva avviluppato la sua vittima. Ed era il lugubre influsso dell'ombra invisibile che gli faceva sentire, benché non potesse né udire né vedere, che gli faceva sentire la presenza della mia testa all'interno della stanza.
Era aperto, tutto aperto l'occhio d'avvoltoio, completamente spalancato, e nel fissarlo la furia mi invase. Lo vedevo distintamente, tutto di un azzurro opaco, con quell'odioso velo che lo ricopriva e che faceva raggelare persino il midollo delle mie ossa; ma non potevo vedere altro del vecchio, poiché avevo rivolto il raggio come per istinto proprio su quell'unico maledetto punto.
Ciò che voi scambiate per pazzia altro non era che una esasperazione dei miei sensi? Ebbene: ecco che ora le mie orecchie percepirono un rumore sommesso, soffocato, veloce, simile a quello che fa un orologio quando è avvolto nel cotone. Era il battito del cuore del vecchio. Questo aumentò il mio furore, allo stesso modo che il rullare di un tamburo stimola il coraggio del soldato.
Respiravo appena. Tenevo la lanterna ferma. Cercavo di vedere sino a che punto sarei riuscito a mantenere immobile sull'occhio il raggio. Frattanto il tam-tam infernale del cuore aumentava. Si faceva sempre più rapido e sempre più forte a ogni attimo. Il terrore del vecchio deve essere stato infinito! Aumentava, ripeto, a ogni istante! E adesso in quell'ora spenta e morta della notte, nel silenzio inverosimile di quella vecchia casa, l'irreale rumore suscitò in me un terrore incontrollabile. Mi parve che il cuore dovesse scoppiare. Ed ecco che una nuova angoscia mi strinse: il rumore sarebbe stato inteso da qualche vicino! L'ora del vecchio era giunta! Con un urlo insano feci scattare lo schermo della lanterna e balzai nella stanza. Egli gridò una sola volta, una volta soltanto.
Immediatamente lo buttai a terra e gli gettai addosso il letto pesante. Allora presi a sorridere lietamente, accorgendomi di averla fatta finita così in fretta. Ma per molti minuti il cuore seguitò a battere con un rumore soffocato. Ciò però non mi turbava. Infine il rumore cessò. Il vecchio era morto. Posai una mano sul cuore e ve la tenni per lunghi minuti. Non avvertii pulsazione alcuna. Il suo occhio non mi avrebbe più ossessionato. Per prima cosa smembrai il corpo, gli spiccai il capo, le braccia e le gambe. Divelsi quindi tre assi del pavimento della stanza e posai ogni cosa fra i travicelli. Non c'era da lavar via nulla, nessuna macchia di nessun genere, nessuna traccia di sangue. Ero stato troppo guardingo per cadere in un simile errore. Avevo raccolto tutto in un mastello... Ah! ah!
Non appena la campana cessò i suoi rintocchi intesi bussare all'uscio di strada. Scesi ad aprire col cuore leggero: infatti che cosa avevo da temere? Entrarono tre uomini che si  presentarono con perfetta gentilezza come funzionari di polizia. Un vicino aveva inteso un urlo durante la notte; aveva sospettato qualcosa di losco. Sorrisi: che cosa avevo da temere, infatti? Pregai gli uomini di accomodarsi. L'urlo, spiegai, era stato lanciato da me nel sonno. In quanto al vecchio era partito per la campagna. Feci fare ai poliziotti il giro della casa. Infine li condussi nella sua stanza. Mostrai loro i suoi tesori, che erano in ordine e al sicuro. Nell'entusiasmo della mia sicurezza portai nella stanza alcune seggiole e insistetti perchè sedessero lì a riposarsi dalle loro fatiche, mentre io, nella folle audacia del mio completo trionfo, posai la mia seggiola proprio sul punto esatto sotto cui riposava il cadavere della vittima. Io ero straordinariamente calmo. Ma in breve mi sentii impallidire e cominciai a desiderare in cuor mio che se ne andassero. La testa mi doleva e mi sembrava che le orecchie mi rintronassero. Ma gli uomini seguitarono a sedere e a chiacchierare. Il ronzio delle orecchie si fece più distinto... Diveniva sempre più intenso, sempre più distinto: ripresi a discorrere ancor più animatamente per sbarazzarmi di quella sensazione sgradevole, ma essa continuava, e diventava anzi sempre più definita, finchè mi accorsi che il rumore non risuonava entro le mie orecchie. Senza dubbio dovevo essere diventato pallidissimo, ma seguitavo a discorrere sempre più animatamente, e alzando il tono della mia voce. Nondimeno il rumore aumentava, e cosa potevo fare? Ansimai: mi sentivo il fiato mozzo; e tuttavia i poliziotti non lo avevano avvertito. Parlai con irruenza ancora maggiore, ma il rumore aumentava inesorabilmente. Mi alzai e presi a discutere di sciocchezze, in tono di voce altissimo e gesticolando violentemente, ma il rumore cresceva implacabile. Incominciai a passeggiare innanzi e indietro a lunghi passi, quasiché i discorsi di quegli uomini mi avessero infuriato, ma il rumore cresceva, cresceva sempre. Oh, Dio! Che cosa potevo fare? Schiumavo, vaneggiavo, bestemmiavo! Volsi di scatto la seggiola su cui mi ero messo a sedere, la trascinai sulle tavole, ma il rumore copriva ogni cosa aumentando continuamente. Si faceva sempre più forte, sempre più forte! E tuttavia gli uomini seguitavano a discorrere piacevolmente, e sorridevano. Era mai possibile che non udissero? Dio onnipotente! No, no! Certo che lo udivano! Sospettavano! Sapevano! Si beffavano della mia disperazione! Questo pensai, e questo penso. Ma qualsiasi cosa era meglio dell'angoscia mortale che mi attanagliava! Qualsiasi cosa era più tollerabile di quella derisione! Non potevo più sopportare quei sorrisi ipocriti! Compresi che dovevo urlare o altrimenti sarei morto! Ed ecco, ancora! Ascoltate! Più forte! Più forte! Più forte!
- Mascalzoni! - urlai, - smettetela di fingere! Confesso il delitto! Togliete quelle tavole! Qui, qui! È il battito del suo odioso cuore!


tratto da: Edgar A. Poe, IL CUORE RIVELATORE, I racconti del Terrore


Questo post è un esperimento di mixaggio di file audio con cui ho tentato di riprodurre un file sonoro che "raccontasse" questo racconto e la sua atmosfera. Il tema principale è la base di "The End" dei The Doors (gran bel pezzo...).

sabato 15 dicembre 2007

Una scala per il paradiso






Led Zeppelin - Stairway to Heaven


C'è una donna sicura che tutto ciò che splenda sia oro
E desidera comprare una scala per il paradiso
E quando vi arriva sa bene
Che se tutti i negozi son chiusi
Le basta una parola per avere ciò per cui è venuta
E sta per comprare una scala per il paradiso

C'è un'insegna sul muro
Ma lei vuole essere sicura
Perché come sai a volte le parole hanno più significati
Su un albero vicino al ruscello c'è un uccello che canta
Qualche volta tutti i nostri pensieri sono dubbi

  E questo mi meraviglia
  E questo mi meraviglia

C'è un sentimento che mi prende quando guardo verso ovest
E la mia anima implora di partire
Nei miei pensieri ho visto spirali di fumo
Attraverso gli alberi
E le voci di coloro che stanno solo a guardare

E questo mi meraviglia
E questo mi meraviglia davvero

E si sussurra che presto se tutti intonasimo un canto
Il pifferaio ci condurrà alla ragione
E un nuovo giorno spunterà per quelli
Che lo stavano aspettando da tanto tempo
E le foreste echeggieranno di risate

Se c'è chiasso dietro la tua siepe
Non ti allarmare
Sono i preparativi per la primavera  in onore della Regina di maggio
Sì, sembrerà che ci siano due strade che potrai percorrere
Ma a lungo andare
  Avrai sempre tempo per cambiare strada

E questo mi meraviglia

La tua testa ronza e il ronzio non sparisce
Nel caso tu non lo sapessi
E' Il pifferaio che ti sta chiamando, vuole che tu vada da lui
Gentil donna, ascolta il vento soffiare
Lo sapevi
Che la tua scala fosse fatta dai bisbigli del vento?

E come il vento spira giù per la strada
Con l'anima più smunta dell'ombra
Cammina laggiù la donna di cui parliamo
Che splende di  luce chiara e vuol dimostrare
Come tutto con lei continua a tramutarsi in oro
E se ascolti molto attentamente
Prima o poi la melodia giungerà a te
Quando tutti sono uno e una cosa è tutto
Per essere come una roccia e non rotolare giù

E lei sta comprando una scala per il paradiso


(Led Zeppelin - Stairway to Heaven, Led Zeppelin IV 1971)

Traduzione by Alcor

venerdì 14 dicembre 2007

You can never...






Tom Waits - You Can Never Hold Back Spring





Non faccio bilanci... le nostre vite brillano come le stelle appese al drappo notturno del tempo. Apparentemente volteggianti sulle nostre fronti che stentano ad accorgersi di quell'immensità fredda e suadente... Puntuali ritornano durante le stagioni, alla data in cui le attenderai spuntare dallo stesso orizzonte, un appuntamento al quale non tarderanno e mai precederanno un'attesa che l'abitudine renderà sempre più pacata e via via meno presente durante le faccende che popolano la quotidianità, mentre rincorriamo uffici, pratiche, offerte... Non siamo più abituati a misurare le nostre esistenze con la Stella Polare, o con il Leone che annuncia le piene del Nilo od Orione le piogge d'inverno... Non siamo più parte di quell'orologio universale, . Alla ricerca di leggi e sistemi che muovono i fili di quelle marionette nelle quali rinunciamo ad essere noi stessi, mentre ci abbandoniamo al fato abdicando la voglia di dire la nostra nei giorni che chiedono sempre di essere calpestati dai nostri passi mossi dai nostri sguardi, verso i nostri orizzonti.
Stamattina risalivo dal mare... ed una coperta pallida trapuntata di cristalli calava dolcemente abbracciando le colline e la valle, trasformando polveri e goccioline in fiocchi intangibili d'ovatta degli angeli. Quante volte nelle corse domestiche mi son lasciato accarezzare da quel vento e da quel tepore di ghiaccio che ho spesso sciolto sulla labbra ed ingoiato mentre mi attraversava la bocca ed il respiro... Non si posa quasi mai la neve quaggiù, perchè dalla mia finestra vedo il respiro del mare che mitiga il gelo quando il cielo desidera addormentare gli affanni.  Ho sempre pensato che il freddo mi avrebbe protetto dall’ombra di quel calore che raramente mi avrebbe scaldato le mani, quello che forse non sentirò mai sulla mia pelle quando si intrecciano le mie dita. Il cerchio che gira infinito e che va alla deriva nell’universo sta per concludersi con una scia luminosa inattesa in questi suoi ultimi flutti d’aria e di neve… E che importa di quel tronco d’albero spoglio? Anche quel sughero infreddolito e pallido conserverà il ricordo di una poesia che l’inverno renderà candida. Perché ancor sotto un cielo dello Scorpione una manina fatata m’ha trovato cavandomi fuori dal nulla nel quale vegetavo, e così improvvisamente si intrecciano storie e realtà che vagavano parallele e intangibili nel loro fugace percorso ove non si sarebbero mai incontrate senza l’intervento di qualche miracolo della poesia. E così come ogni splendido movimento della Luna, o l’improvviso timor di una farfalla che balza via saltellando sulle onde del pianoterra del cielo… Every drop of rain that falls in the Sahara desert says it all: It’s a Miracle!
E intanto… fuori da quello scantinato aspetto la neve. Conscio che potrebbe essere un’attesa eterna ma mai inutile, perché la rondine vola, vola verso la luce del sole alla ricerca d’un cielo che sia piovuto nel mondo solo per lei, con sogni che vacillano e speranze che fioriscono nel ciclo della vita e dei rimpianti…Vola e s’inarca ballando da una nuvola all’altra rincorrendo ristoro e riposo, mentre i miei rami spogli fendono il cielo. E chissà se sarò mai nido, se sarò mai casa, se sarò mai una pagina bianca da accarezzare con le piume scure di parole senza gemito. Quando un vapore sospeso potrà diventar casa e renderà silenzioso il mio canto, quando non sarò che il ricordo di un appiglio per non cadere ancora e un abbraccio che vince lo sconforto senza volare oltre i colori dell’arcobaleno, quando s’addormenteranno le stagioni e le gemme non prometteranno più fiori, non potrai restituirmi la primavera. Sarò una pausa tra due cieli senza il giorno e senza agognar la notte, un abbraccio tra due lacrime, che non basta a darmi un’anima. Poesia senza stagioni, in una corsa senza equinozi, dopo un lungo inverno che ha lambito le porte dell’alba.


You can never hold back spring


You can never hold back spring
You can be sure that I will never
Stop believing
The blushing rose will climb
Spring ahead or fall behind
Winter dreams the same dream
Every time

You can never hold back spring
Even though you've lost your way
The world keeps dreaming of spring

So close your eyes
Open you heart
To one who's dreaming of you
You can never hold back spring
Baby

Remember everything that spring
Can bring
You can never hold back spring


(Tom Waits, Orphans: Bawlers 2006, - LA TIGRE E LA NEVE)






lunedì 10 dicembre 2007

1.................. sì che mi fido di te!


E' un periodo più da Diamante Pazzo che da U2 questo, e la musica che ascolto fa da termometro al mio umore... Ma stavolta faccio un'eccezione, anche perchè sto tornando ad usare i miei stranissimi occhiali da sole molto in stile Paul David Hewson! Colgo l'occasione per chiedere scusa dopo 7 anni agli invitati alla mia festa di 18^ anni quando rovinai maldestramente questo brano con un'interpretazione pietosa annacquata con un gradevole rosato frizzantino che scendeva in gola meravigliosamente leggero, ma con effetti insperati... E ribadisco anche che la versione recente di questa canzone FA SCHIFO!!!






One

Is it getting better?
Or do you feel the same?
Will it make it easier on you now?
You got someone to blame
You say

One love
One life
When it's one need
In the night
One love
We get to share it
It leaves you baby if you
Don't care for it

Did I disappoint you?
Or leave a bad taste in your mouth?
You act like you never had love
And you want me to go without
Well it's

Too late
Tonight
To drag the past out into the light
We're one, but we're not the same
We get to
Carry each other
Carry each other
One

Have you come here for forgiveness?
Have you come to raise the dead?
Have you come here to play Jesus?
To the lepers in your head

Did I ask too much?
More than a lot.
You gave me nothing,
Now it's all I got
We're one
But we're not the same
Well we
Hurt each other
Then we do it again

You say
Love is a temple
Love a higher law
Love is a temple
Love the higher law
You ask me to enter
But then you make me crawl
And I can't be holding on
To what you got
When all you got is hurt

One love
One blood
One life
You got to do what you should
One life
With each other
Sisters
Brothers
One life
But we're not the same
We get to
Carry each other
Carry each other

One
One

(U2, ONE, Achtung Baby 1991)

domenica 9 dicembre 2007

Un bicchiere di scura ed un giro di walzer





Modena City Ramblers - Canto di Natale (Riportando tutto a casa, 1994)



Da quando sono tornato a casa niente mi sembra come prima. Mi sembra di essere quasi un ospite, fin troppo sconcertatamente gradito a chi mi circonda per i miei gusti, rispetto all'indifferenza con cui spesso volevo esser delicatamente trattato; perché è sempre stato quello il mio cruccio, non voler essere pensato, non essere considerato, né tantomeno benvoluto. Perchè tanto non me ne fregherà mai niente... ci hanno provato in tanti, non c'è niente da fare.
Freddo e silente come lo spazio nel quale girano gli astri. Non sempre certamente, ma almeno quando le cose girano male o non girano, cioè, infine, quasi sempre. Anche se pochi crederebbero a quanto sto dicendo... ma come lo si potrebbe mai dipingere il mio inferno?
Sono stufo. Tempo fa' mi fu chiesto che cosa pensassi del Natale. Quando le cose ti vengono strappate con violenza, come se un pezzo della nostra felicità fosse amputato senza pietà come una gamba asportata ad un corridore, non puoi far altro che odiarle. Non odierai mai chi corre, non sarai lì con lo sguardo accecato nella cupida invidia appeso ad un palo, ma le altrui gambe quelle sì, le riempirai d'odio. Appena rientrato in quella porta un maestoso abete di plastica puntuale come ogni anno nel medesimo angolo, con le medesime pacchiane inutilissime palle di legno decorato. Questa casa non è più la stessa da anni, io non sono più lo stesso, chi ci abita con me non è più lo stesso, a che cazzo mi serve un Natale? Anni fa' dopo la messa di mezzanotte io ed i miei amici come vagabondi in preda alla gioia più sfrenata, con una bottiglia di spumante su una mano, ed un pandoro discount nell'altra, giocavamo a pallone un po' brilli nella piazza centrale del mio paese... urlando alla vita con la vera spensieratezza che s'è perduta per sempre. Non mi frega di rimpiangere un passato che per me non conta niente, nè nelle cose, nè nelle persone... è che ci sono stati tempi in cui ogni cosa sembrava poter ripartire durante quella notte. L'anno scorso invece che giocare a pallone dopo la messa di mezzanotte son tornato a casa e in preda alla rabbia ho preso a leggere Advanced Microeconomic Analysis di Hal Varian... Non faceva neanche freddo, no che non esiste più alcun Natale per me. Perchè qui non cambia non cazzo, nulla rinasce, nulla migliora nulla peggiora, questa esistenza è la sabbia mobile del tempo. Ho respirato un po' Natale mentre vagavo in solitaria per le vie di Milano, mentre sentivo di costruire qualcosa.
Non lo so se sarà mai Natale per il mendicante che sta ancora piangendo in un angolo della Galleria di Corso Vittorio Emanuele, non so se sarà mai Natale nella coppia di chitarristi country che mi fermo spesso ad ascoltare senza avere monete da dar loro, nelle serate in via Sparano quaggiù. Non ho regali da farmi, qualcuno vorrei farlo, ma non c'è essere umano di cui in questo istante sento di potermi fidare... vorrei passare quella notte qualsiasi con la sola cosa che conta per me, la mia chitarra, una bottiglia di vino, e se mi ricapita, una cosa che da tempo non faccio, quando sostituii le mie preghiere serali con Les Fleurs du Mal.
Questo vento non ha più promesse di cui possa mai importarmi...
Questa strada non ha alcun rifugio.
Uno straniero la cui lingua non si può tradurre, un ramingo pensiero che non si posa in alcuna ampolla di speranza per essere ripescato a distanza di un anno per prenderti in giro ancora una volta, dopo che la Terra ha compiuto la sua rivoluzione intorno al Sole, dopo aver compiuto spazi uguali in tempi uguali per dar retta alle leggi di Keplero, una delle poche leggi che davvero contano per me.
Per il resto, caro Kant, che volevi un cielo stellato sopra di te ed una legge morale dentro di te, toh fatti una bevuta di 'sto vino, è stato solo un brutto sogno...
Sognate, voi tutti... la nebbia è fitta ed i mulini a vento neanche si scorgono... come posso combatterli?


Canto di Natale

Signora dei vicoli scuri dal vecchio cappotto sciupato
Asciugati gli occhi e sorridi c'è un altro Natale alle porte
Non senti le grida e le voci e qualcosa di strano nell'aria
Anche i muri ingrigiti dei vicoli splendono sotto la luna

Ti ricordi c'incontrammo in un giorno di neve e di freddo
E la sera ci facemmo un bicchiere di scura ed un giro di walzer
Con tanti saluti ad un altro Natale

Signora dei vicoli scuri abbracciami forte stasera
Anche i gatti festeggiano a volte e cantano sotto le stelle
Dimentica il freddo le lacrime e le scarpe coperte di fango
E il destino di un vecchio ubriacone cullato dal canto del vento

Ti ricordi c'incontrammo in un giorno di neve e di freddo
E stasera ci faremo un bicchiere di scura ed un giro di walzer
Con tanti saluti ad un altro Natale.

Signora dei vicoli scuri non mollare la lotta
Verranno momenti migliori il tempo è una ruota che gira
Vedremo le rive del mare in un giorno assolato d'estate
Scoleremo cinquanta bottiglie al riparo di un cielo lontano

Ti ricordi c'incontrammo in un giorno di neve e di freddo
E stasera ce ne andremo a ballare per strade e a brindare un saluto
E un cordiale fanculo ad un altro Natale

Modena City Ramblers


Mappa del cielo - Roma 10/12/2007 ore 00:00

Ho molto trascurato le stelle... e purtroppo non l'animo per recuperare queste promesse. Domenica scorsa non c'è stato il solito cielo, vedere le stelle nella città che mi ha ospitato era pressochè impossibile. Dissi ad una persona che quando le stelle si portano dentro, possiamo anche non guardare lassù, e ciò non è del tutto vero. Ma forse, a quanto pare, non è ancora giunto il momento di cambiar cielo...

sabato 8 dicembre 2007

Problem solving




Stavolta ho bisogno d'aiuto, ho alzato la mia bandiera al contrario.
Perchè non può alzarsi la bufera improvvisamente nella vita di una persona, sprigionarsi un tornado furioso che pare stravolgere ogni cosa mandando in aria abitudini, persone, ricordi e luoghi che voglio lasciarmi alle spalle; non può scatenarsi una rivoluzione che annuncia un mondo senza confini, e poi placarsi il tutto, perchè tutto quello che mi teneva ancorato qui, che ho atteso per mesi e mesi bugiardi e spergiuri, mi viene posto dinanzi su un piatto d'argento...
E tutte quelle immaginazioni di un mondo diverso? E quelle prospettive di immergermi in un anomia infinita che comunque mi avrebbe spalancato scenari immensi? Ancora una volta è questo il mio porto di mare? E' ancora questo il molo a cui devo attraccare la barca, ammainare la vela della vita per poter soddisfare il senso che ho sempre voluto darmi, ed il lavoro che desidero?
Senza tante poesie: si apre una prospettiva di lavoro ben retribuito da ricercatore qui, un attimo prima che il mio treno parta definitivamente per il nord...
E nel tramonto di quel futuro, disperdo anche tutto quello che avevo costruito su quell'orizzonte...
Essere e fare quel che desidero, e pagare il prezzo di ritrovare gli stessi volti, le stesse strade e gli stessi rimpianti... una paga migliore, una casa accogliente in cambio di un pezzo di vita che decade dalla mia scena.
Ed ora, che cavolo faccio?
Un caso di problem solving, devo costruire una funzione di utilità, e delineare le mie curve di indifferenza; i due beni nel paniere sono: un lavoro che mi piace ben pagato ma senza prospettive certe in una vita che non mi piace (casa mia), ed un attività che non sfrutta appieno le mie skills, con un saldo finanziario ricavi/costi decisamente meno conveniente ma con qualche minima prospettiva in più, in un posto che mi piace un sacco...
Chiedo l'aiuto del pubblico... oppure lo switch...

venerdì 7 dicembre 2007

Raining moments






Hans Zimmer - Way of Life (Last Samurai soundtrack)




Spesso i giorni assomigliano ad un binario vuoto dove tutti i pensieri si raccolgono in ristrettissimi antri per scavalcarsi e riempire i vagoni tardivi che ancor prima di giungere portano già in grembo il dubbio che quel che sarebbe lì ad aspettarti potrà esserci ancora. Tutte le volte che ho preso un treno il mio posto ha sempre dato le spalle alla mia destinazione. Ogni volta potevo guardare soltanto a tutto quello che lentamente mi lasciavo alle spalle, montagne rosa d'un inverno clemente spegnersi piano nella fumosa fascia d'incerto che inghiotte i colori dell'orizzonte. Andandomene via ho visto sbriciolarsi parti di me che sapevo poter un giorno soltanto sfiorare durante parentesi di una nuova vita che non sembrava ben disposta a prendermi per mano, mentre quella che mi svaniva ad ogni curva non si curava affatto nel lasciarmi la sua, abbandonandomi a dover  cercare da me la fune su cui ciondolare alla ricerca di un diverso equilibrio.
E mentre il respiro del cielo confonde gli aerei saettanti con le stelle che decollano dalla mia memoria per collocarsi dove io le proietto dalla mia mente, l'aria si spegne in un buio costellato di finte luci senza aureole e contorni. E mi prendeva il solito mal di testa forgiato da uno smarrimento che mi ha impedito di deglutire un sorso d'acqua durante oltre sette ore. La luce di quel che ho visto abbandonare, trattenuto a quella poltrona come ad una colonna, aveva lasciato troppo presto il posto ad un'ombra resa meno pavida dai riflessi di fari, come dardi che trapassano la pioggia, ed il mondo che gira intorno rallenta mano a mano che lo sguardo tenta di carpire corpi e nuvole al di là di quel vetro che blocca la fuga di luci e colori come uno specchio che si contempla sempre compiaciuto in un inutile infinito.
E tu, che nell'istante di questa notte in cui raccolgo i sentimenti di giorni sospesi tra ansie e voglie, te ne vai lasciandomi con un segno a cui non mi è dato rispondere... se non disseminando di parole il vento attraverso quel sentiero lungo il quale ti ho sempre atteso. Ho raccolto tutto quel che c'era di noi mentre cingevo gli occhi e durante il ritorno mi son lasciato immergere in quelle voci che mi hanno raccontato di te, quando io assomigliavo ad un dubbio, quando la paura aveva rimosso i miei occhi dai tuoi sogni, quando le piume di due uccelli che si libravano attraverso pensieri e parole sembravano fondersi in un'unica ala... quando la pioggia accarezzava la terra dopo aver rinverdito le macchie multicolori di fiori campestri.
E ancora una volta di spalle, ho visto quel che all'inizio nel buio mi sembrava falsamente sincero. Il giorno se ne andava mentre mi allontanavo dal futuro, per tornare a casa... e ho distinto una poesia che a lampi mi si intrometteva nelle pupille sfavillando dalle ampie aperture che interrompevano quelle buie gallerie che mi separavano dalle onde del mare che infuriavano su quella sabbia pallida a pochi sguardi dal mio finestrino.
Mi mancherà il mare... e quelle forme mai uguali della battigia sfiorata dalla marea. La marea, quella mano invisibile con cui la Luna leggera ammorbidisce le sue gote argentee con un sorso di mare che dondola lungo piste d’avorio su cui ho dipinto i crepuscoli dell'anima laddove tu, stella del vespro, apparisti un attimo dopo che quel sole ingannevole mi aveva strappato fiato e calore dalle mani e dalla bocca.

Hai preso la mia luce tra le dita… mentre ogni piccolo tratto del mondo profuma di un abito nuovo, quello che un nuovo sguardo del mio cuore riesce a cucire intorno a tutto ciò su cui si posa, e tutto racconta di un’unica musica e di un’unica strada…
Sei nel miracolo di un saluto ed una stretta di mano dopo un incontro che resterà unico e solo per la vita; come una cometa che non tornerà più che ha attraversato il mio cielo... sei nell'abbraccio che mi raccoglie al rientro tra quelle mura che recano ancora i segni delle mie folli corse da bambino... sei nel freddo che pensavo d'aver dimenticato ma che mi incatena la gola, mentre amo l'inverno e le promesse del suo letargo... sei in quelle luci che nella notte hanno sempre aguzzato il sublime confondersi di cielo e terra, come un bacio nella notte tra le stelle della volta celeste, e i desideri che teniamo agganciati al bagliore di un lucernario, per non perderci come nuvole lontane, ed io non le perderò...

martedì 4 dicembre 2007

Hired!


Il ricercatore lo continuo a fare, perché ccà nisciuno è fesso... intanto vediamo un po' 'sti fricchettoni incravattati con le sopracciglia in gay pride style che mi fanno fare sino all'inizio di questa estate. Qua a Milano sto molto bene, l'altra sera ho incrociato pure il Berlusca in Piazza Duomo mentre portava a spasso il bimbo Kakà ed il Pallone d'oro. Che Dio me la mandi buona (anche bona, possibilmente... se ci si riferisce alle pulzelle!)
Domani si torna a casa, si trascorre 'sto Natale con la piagnucolante mamma che si appresta a salutare il suo primogenito migrante. Con tutti quei pezzi di scemi policanti che rompono le scatole lamentandosi del fatto che me ne vado lasciandoli con le pezze sul fondoschiena, e con un colpo di spugna pressochè generale sui mille rimorsi che lenti lenti, piccoli piccoli, ancor mi tengono le dita tra i pensieri che fuggono e s'arenano lì.
Eppure qualsiasi sarà il soffio del vento che prenderà in consegna dalla mia pianta il mio destino, quel che desidero incontrare, lo incontrerò.



lunedì 3 dicembre 2007

sabato 1 dicembre 2007

Visto ieri sera


Non sono un illuso che crede che la violenza ed il male possano essere scissi dalla natura umana... Siamo sempre una specie dedita alla conservazione della specie, e come tale ci portiamo dentro istinti primordiali. Ma, caro Ratzinger, un pochino di illuminismo con un pochino d'amore, forse possono arginare la sopraffazione, se solo anzichè dividere e scavare baratri provassimo appena appena a rinsaldare un minimo di legami in nome della carità e del perdono, forse restituiremo ai legittimi proprietari un mondo migliore di quello che abbiamo trovato. Lo diceva Benigni l'altra sera, il mondo non l'abbiamo ricevuto in eredità dai nostri padri, ma lo abbiamo avuto in presito dai nostri figli.
Il film è crudo, essenziale, talvolta persino troppo freddo nel dramma che si vive. Che la guerra facesse schifo non lo si scopre guardando questo film. Ma se quella violenza ha una seppur minima spiegazione, un'illusione, forse riesce a mantenersi su dei binari di razionalità che non possono indurre al male assoluto. Ma quando tutto appare insensato, immotivato, ecco che la vita può trasformarsi in un incidente di percorso, in un nulla che non crea alcuna differenza tra assassini e vittime. Questo è il senso di questo film... E la valle di Elah è la valle dove Davide sconfisse il gigante Golia, mentre restava immobile per prendere la mira della sua fionda, per poter centrare il suo obiettivo. Quando prima di vincere il suo avversario, ha dovuto vincere la sua paura riuscendo a trovare il sangue freddo per poter lanciare il sasso che l'avrebbe salvato dall'incombenza del gigante. Vincere la paura per sopravvivere, ma senza smarrire quel piccolo focolare in fondo all'anima. Quel piccolo lumino di paura che consente alla vita di riconoscere il male e non infettarsi di cieca indifferenza al dolore. 
E quella bandiera al contrario che risalta alla fine del film è un chiaro messaggio... come spiega lo stesso protagonista, ciascuno di noi ha bisogno d'aiuto.

venerdì 30 novembre 2007

Immenso

Premettendo che sono cresciuto con Dante, che l'Inferno è stato il primo libro che ho letto nella mia vita a 7 anni, e che il V canto insieme al XXVI (Ulisse e Diomede), sono quelli che ho sempre maggiormente amato, ho atteso trepidante la serata di ieri.
Si badi bene, le pochissime volte che ho parlato di TV in questo blog l'ho fatto per lanciare invettive alla nazione, ma ieri sera no... ieri sera ho visto un capolavoro. Ieri sera finalmente ho ascoltato il trionfo dell'arte al di sopra di ogni banalizzazione, finalmente era palpabile la speranza infinita che si cela nella poesia di poter destare pensieri che giacciono indisturbati nel nostro intimo. Ho visto come una somma maestria di comunicazione, che la commistione emotiva pressochè totale tra chi reclama i versi ed il componimento stesso, riuscirebbe a carpire la mente di qualsiasi ascoltatore attento che abbia voglia di lasciarsi annegare in quel sopraffino sussgeguirsi di endecasillabi a rima alternata.
Ma non solo il trasporto, non solo la bravura dell'artista... ma quei versi e quel sentimento che s'avvolge e si diffonde nelle immagini evocate, nel pianto e nel ricordo, nei sussurri e nelle tempeste, non possono non tangere i sentimenti di chi è disposto a bearsi in quel lento bagno d'amore.
La storia di Paolo e Francesca m'è sempre stata cara, il V canto è secondo me la migliore ninna nanna che chi soffre nei sentimenti abbia bisogno d'ascoltare prima d'assopirsi. Non voglio apparir banale nel ripetere la dolcezza e la sensualità che si coglie in ogni espressione dantesca, ma non voglio neanche scimmiottare la bravura del poeta che ieri sera ha incarnato magnificamente quei versi; ma posso soltanto dire che le ho sentite dentro, una per una, quelle parole come fosse stata la prima e novella di infinite volte in cui esse han fatto tenera breccia nella coltre in cui spesso s'arena la mia mente...

giovedì 29 novembre 2007

domenica 25 novembre 2007

Quando c'è la nebbia non si vede...




Il mio primo post "straniero", ovvero non prodotto sulla solita scrivania e sulla solita postazione. Poche parole, in questi giorni la mia connettività è paragonabile ad un "su e giù", e chi ha visto Arancia Meccanica potrà comprendere meglio la metafora. E poi, anche se non so per quanto tempo starò qui (sinceramente spero solo di tornare a casa solo per dare un bacio alla mamma e fare scorta di cibo e denaro) è molto molto meglio gironzolare per la città.
Oggi qui è tornato il sole, per me è spuntato un attimo dopo aver ritrovato alcune persone. Perchè ci sono cose talmente belle da riuscire a precedere il Sole. Ci sono parole che sanno arrivare ad aprire i nostri occhi meglio dell'alba. Ci sono doni che hanno la semplicità di volti che non puoi accarezzare, ma che vorresti sentire accanto finchè l'ultimo sguardo che si abbandonerà lì fuori, sarà quello che anzichè perdersi per afferare la realtà, preferirà intessersi con quello sguardo che da solo incensa lo splendore del mondo.
Ora mi viene mente mio zio che, attraversando la galleria che fiancheggia il Duomo, a 76 anni mi parlava con la lucidità e la speranza di un adolescente dei suoi progetti per il futuro, concludendo il tutto dicendo che quelle erano le illusioni a cui aveva appeso la sua esistenza, e che gli avevano consentito di superare delusioni enormi. Mio zio ha problemi agli occhi, ma ogni mattina dalla periferia raggiunge Piazza Duomo per passeggiare e talvolta ascoltare la messa nella chiesa di San Babila. Conosce la storia di ogni singolo mattone di questa città, ed il suo racconto si smarrisce nella mia attenzione solo perché un gruppo di musicisti di strada intona quasi alla perfezione una delle mie melodie più amate, un tema tratto dall’Amelie di Yann Tiersen. Qualcosa in quel momento mi è sembrato scomparire accanto, ed era la sensazione di poter fare a meno a chiunque. In quel momento ho avvertito un vuoto vero accanto, un vuoto che in realtà ho sempre avuto dentro…
Qualcosa che potesse consentirmi di condividere quella mia simbiosi con il mondo, quel mio sentirmi vivo in una
walk on part in the war, anziché spento in un lead role in a cage (Pink Floyd, Wish you were here)
Io so che posso scegliere... ed io non scelgo di rinunciare a nulla. Io non scelgo di smettere di inseguire quello che desidero. Io scelgo, ed io sono libero. Fossi anche l’ultimo zingaro che calpesterà quella strada.

Mappa del cielo - Roma 26/11/2007 ore 00:00

La Mappa del cielo la devo postare, dovessero confinarmi in Groenlandia...

mercoledì 21 novembre 2007

Quo vadis Alcor?

Con qualcosa che è tutt'altro che contentezza vado a sperimentare una specie di opportunità di vita e futuro. Vado a vedere se è possibile rinunciare a tutti i sogni di una vita per una pragmatica esigenza di vita. Per non essere stato abbastanza in gamba a meritarmi il pane che supportasse un lavoro splendido come quello del ricercatore.
Parte un treno, forse con un biglietto di sola andata. Non nella materialità della cosa perchè torno presto, non mi sto trasferendo neanche qualora dovesse esserci esito positivo. Il treno forse si riferisce alla mia vita. Non so cosa mi aspetta, ma adesso sento che non mi piace.
Non mi piace la violenza con cui tutto questo stava avvenendo, soprattutto nel momento in cui stavo lavorando a progetti importanti sia nella mia università, sia nel mio piccolo.
Tutto in un due mesi.
Avevo accanto a me una persona, l'ho avuta per cinque lunghi e difficili anni. Avevo un'esistenza che si stava piegando in una cappa di normalità che iniziava a sembrare disgustosa. Avevo degli impegni scanditi da un tempo libero sempre meno libero. Avevo una serie di passioni represse. Avevo una strada che si era trasformata in un tunnel, andava dritta lungo una direzione, ma non potevo guardare cosa ci fosse ai lati del mio sguardo ed oltre il tragitto impostomi dal destino. Qui in un piccolo paese adagiato su una collina che troneggia sul mar Ionio. Qui vedo la Valle d'Itria ed i monti Calabresi abbracciare lo sguardo da est ad ovest. E dinanzi a me un mare sconfinato. Vedo gente silenziosa che ti scruta ad ogni passo. Sai che ogni tua mossa sarà oggetto di discussione per buona parte dei tuoi concittadini. Hai un soprannome di famiglia che ha ipotecato per te il tuo carattere e la rispettabilità che meriti. C'è gente che ha la mente aperta come la cassaforte della Federal Reserve. Dove la massima aspirazione di un giovane è morire sfracellato dalle lamiere che piovono all'ILVA di Taranto, oppure imbracciare un fucile ed un uniforme.
Qui i sogni si spengono nella valle piena di nebbia a novembre.
Qui coltivi la vite o la mente e finisci per scrivere le paranoiche e tediose lagne che ho scritto sinora.
Ma non così, io ci stavo riuscendo alla mia maniera, con lacrime e sangue; ma come piaceva a me.
Ora potrei essere solo uno dei tanti.
Ora mi odio.
Ora non mi sento credibile.
Ora fuori è buio, per parafrasare una canzone di un cantante amato da una persona speciale.
C'è chi mi ha aiutato a sentirmi importante. E non so perchè ma ho anche la sensazione che sto perdendo molto più di quello che mi lascerò alle spalle, se quel treno partirà davvero.

Una volta mi furono dette delle frasi che porto nel cuore. Frasi nelle quali mi rifugiavo nei momenti di sconforto. Uno sconforto che in questi giorni di ostentato positivismo ho tenuto dentro in maniera acerba. Perchè in fondo ho sempre pensato che il mio dolore fosse inutile e stupido e come tale da ignorare. Ebbene, in quel piccolo angolo di semplici frasi, rannicchiavo la mia mente stanca e mi lasciavo abbandonare alla pace.
Poi quelle parole sono state spazzate via...
E non mi fece neanche male, forse era il sacrificio che mi era indirettamente richiesto per soddisfare un desiderio di qualcuno. Ed io avrei fatto, e farei, qualsiasi cosa davvero.
Perchè ora sembra che tutto mi stia abbandonando?
Tutto, non ho più nulla.
Il mio sogno era volare via lontano. Ma non adesso. Non ora. Ora che troppe colpe e lacrime mi lasceranno dentro dei ponti di malinconia che 1000 km forse non riusciranno a strappare.




martedì 20 novembre 2007

I hate



Ho incominciato a scriverlo pochi minuti prima di un appuntamento. Avevo le idee chiare, cioè nessuna, e sapevo che sarebbe stato uno dei soliti scritti illogici che partono e che si allontanano dalla mia mente senza guinzagli, e non sono scritti fedeli che tornano al papà con i richiami, con i fischietti, con la promessa della pappa o delle lische di sogliola, così come avevo abituato i miei gatti efficienti. I miei scritti se ne vanno via sbattendomi la porta in faccia e voltandomi le spalle.
Questo di oggi l'avevo cassato. Ghigliottinato. Confinato. Perchè il poco tempo che avevo prima d'andarmene l'ho dedicato ad altro. Ad altri, a chi so io. Ed è sempre meglio.
Qualche tempo fa' mi sono ritrovato a dover metaforicamente arredare una stanza virtuale. Un'impresa ardua per tante ragioni, dovute all'emotività del momento che mi impediva di esser utilmente lucido e razionale. Dovevo cercare dentro di me le cose che odiavo.
Io non odio nulla, dicevo, l'odio è una cosa che non è nella mia natura, ad esclusione del pomodoro crudo che per me rappresenta la summa di ogni ribrezzo, e non chiedetemi perchè. Sono 25 anni che a casa mia si studia questa mia sghemba forma di psicosi. L'ultimo uomo in Europa* odiava i topi, io odio i pomodori crudi.
Io non odio. Ho sempre pensato che questa forma di avversione radicale mi fosse sempre stata avulsa. Che la morbosa sensazione di avere miccia pronta a scatenare una furia di malvagia e raccapricciante ansia di annientamento verso qualcosa  o qualcuno mi fosse fortunatamente preclusa. Ed è così nei confronti della gente. Io non ho mai odiato nessuno. Però da un po' di tempo ho capito che io odio.
Odio la banalità viscerale di chi urla nella camera attigua alla mia litigando con mia sorella di cazzate  esemplari da esporre come figura alla voce "stronzata" del dizionario DeMauro, impedendomi di leggere le ultime rilevazioni dell'ISAE sugli effetti della delocalizzazione produttiva. Odio che mentre sto cercando di decifrare talune matrici e regressori, odo di lontano che si sta spifferando il mio nome con estrema accortezza per evitare che io possa minimamente percepire che si sta ciarlando del mio conto, in maniera un tantino meno astuta rispetto ai nobili intenti fraudolenti. Odio discutere inutilmente per anni interi della possibilità di derogare ai diritti inalienabili dell'uomo a causa di una forma paranoica chiamata "gelosia" redditizia solo al conto corrente di Willy Pasini che può così vendere libri sull'argomento. Odio parlare di cose che sembrano ai miei modestissimi denti delle normali umilianti scemenze puerili, e scorprire che c'è qualcuno che si ostina a non volersi nemmeno impegnare a capire. Odio ricordare un amico di merda che per anni ti ha voltato le spalle, che si rifiuta di ascoltare il perchè di tante cose, che palesa in tutti i modi la sua cruda indifferenza nei tuoi confronti, e che risponde ad ogni tuo cordiale tentativo di instaurare una comunicazione asettica con un "non me ne frega niente". No, non odio tutto questo, non sono mica scemo a sprecare l'odio per queste bazzeccole. Per queste potrei solo ringraziarlo per avermi dato l'opportunità di essermi scrollato dalla mente l'esistenza di un essere inutile. Odio quando vai a raccontare i cazzi miei in giro. E non me ne importa un cacchio del fatto in sè, perchè il pettegolezzo è l'arte più sopraffina per sancire la propria demenziale esistenza, ma in un paesino di gente unicamente dedita al mormorio, ad i tizi con un alto tasso di pubbliche relazioni di tipo politico le dicerie fanno danni ingenti. Quando me ne andrò via da questo pattume deliziate pure le vostre patetiche serate con tutte le barzelette, io me ne fregherò altamente.
Un'amica me lo dice sempre... io non sono cattivo, sono un tipo paziente e conciliante (ma quando mai??? Io sono una persona MALEFICA, sono SATANICO, PAGANO senza timore di DIO e mi mangio pure i bambini, stando alle leggende...) ma rendo lampante un evidente tasso di intolleranza verso la stupidità universalmente riconosciuta. Che ci posso fare? Ora però c'è un fatto. Questo è un post ad elevatissimo tasso di stupidità ed io lo ODIO con tutto me stesso. Non è la versione che avevo scritto e che avevo cancellato, perchè quella era davvero seria, perchè in verità ci sono tante cose che odio. Cose che non conoscevo di me e che ho imparato a comprendere attraverso il susseguirsi rapido di varie sfighe, cose che mi impediscono di vivere bene quello che agogno: la libertà, la spontaneità e vitalità, la voglia di sperare nonostante
"l'ermo colle", e un amore che sappia davvero valorizzare chi sono, e darmi la possibilità di donare pienamente me stesso. Odio tutto quello che mi impedisce di essere chi sono. Odio la stupidità ed i luoghi comuni quando violentano il concetto di semplicità ridicolizzandolo al rango di mediocrità. La semplicità vuol dire chiudere gli occhi e sentirsi bene senza disporre di nulla, semplicemente accogliere lo star bene senza motivo, che nasce dalle piccole cose, dalla normalità che diventa straordinaria, perchè ci appartiene e ci immerge in sè, in un pacato sospendersi dei drammi intorno e dentro.

Ho litigato di brutto con mio padre oggi, perchè s'incazza per delle sciocchezze. Ed io non lo sopporto. Mi ha rovinato la giornata quel piccolo lampo di odio che ho provato per quei lunghi monologhi sciorinati ad alta voce alle tre di pomeriggio, mentre neanche Cucuzza lo fa addormentare. Eterne dissertazioni sul menefreghismo filiale che mina le basi della famiglia, ma chi cazzo sei Ruini? Ma vaff tu e la famiglia! Ma chi se ne fotte di 'sti formalismi massonici? Che ti gridi che nessuno sta a sentì un cazzo di quello che dici! Ma pensa alla salute! Cribbio!

*
"L'ultimo uomo in Europa" è uno dei titoli con cui veniva riconosciuto il romanzo di G. Orwell, 1984.